Marco Fressura
Un frammento di “glossario virgiliano” in P.Vindob. L 102 f
(Verg. Aen. I 707–708, 714–715, con traduzione greca)
Tavola 21
Nel giugno 2015 ho avuto l’opportunità di esaminare, presso la Papyrussammlung della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna [1], il gruppo di frammenti P.Vindob. L 101 + 102 + 107 [2], riferiti a un codice papiraceo di V2–VI1 sec. contenente una trattazione di diritto romano in lingua greca con presenza di termini tecnici e, presumibilmente, citazioni in lingua e scrittura latina [3].
Allo stato attuale, P.Vindob. L 101 + 107 raduna sotto quest’unica etichetta quattro frammenti senza contrassegno individuale [4]; P.Vindob. L 102 risulta invece distinto in sei frammenti identificati dalle lettere a–f, ma, di questi, i frr. a, b, c sono da ricongiungere a uno dei frammenti di P.Vindob. L 101 + 107 (il secondo in ordine decrescente di grandezza) [5].
La scrittura greca del papiro è una mediocre realizzazione della maiuscola rotonda di tipo ibrido (in tal caso nel sottogenere dY) che si manifesta in un consistente numero di manoscritti di V–VI sec. provenienti dalla pars Orientis romana e di contenuto prevalentemente giuridico, per lo più bilingui e digrafici [6]; come di norma, anche nel caso di P.Vindob. L 101 + 102 + 107, la scrittura latina rappresentata è un’onciale nella tipizzazione BR [7], anch’essa poveramente delineata dalla medesima mano responsabile della scrittura greca.
Nel singolo caso di P.Vindob. L 102 f, la scrittura latina residua sul lato → appare inequivocabilmente quale esempio di minuscola primitiva, ad asse diritto, con evidente differenza fra tratti spessi (verticali) e tratti sottili (orizzontali), e di andamento non perfettamente regolare. Sono peculiari: f con tratto superiore obliquo, piuttosto che orizzontale, e ripiegato verso il basso alla sua estremità (r. 3); l discendente sotto il rigo di base, con tratto orizzontale allungato fino a lambire la seconda lettera successiva e terminante con un vistoso uncino orientato verso il basso (r. 2); r angolosa (rr. 1, 3)[8]. Sono inoltre notevoli: e con tratto orizzontale decisamente collocato entro la metà superiore della lettera; o con chiaroscuro diritto; q con occhiello assai schiacciato in senso orizzontale. Il poco che resta sul lato ↓ è in una scrittura greca libraria apparentemente riconducibile al sistema grafico della maiuscola biblica, considerato almeno ρ con tratto verticale discendente sotto il rigo di base [9]. La sola riga di testo intelligibile (r. 7), che terminava probabilmente fin troppo a ridosso del limite destro assegnato allo spazio scrittorio, se non addirittura del margine del foglio, si presenta di modulo ridotto (in rapporto colla scrittura latina sul lato →) e con andamento lievemente discendente [10]. Non vi è ragione di dubitare che a tracciare entrambe le scritture, in inchiostro marrone metallo-gallico, sia stata una medesima mano; la scarsa quantità di lettere testimoniate per le due diverse parti linguistiche, tuttavia, impedisce di valutare il grado di armonizzazione grafica raggiunto dallo scriba nel realizzare le due scritture (tra le possibili forme comuni restano solo o/ο; la possibile coppia c/ϲ non è analizzabile, poiché in principio di r. 4 c si presenta ingrandita, mentre in fine di r. 7 ϲ è miniaturizzato) [11].
L’incompatibilità paleografica di P.Vindob. L 102 f colle caratteristiche
dell’
insieme P.Vindob. L 101 + 102 + 107 ha imposto di isolare il frustulo,
colla conseguente identificazione del testo come porzione di un
cosiddetto “glossario virgiliano”. Si tratta di edizioni bilingui dell’ Eneide riferibili al IV–VI sec., normalmente allestite in forma di
codice, che presentano il testo latino scomposto in lemmi e affiancato da
anonime traduzioni letterali in greco, il tutto disposto in colonne, due o
quattro (latino a sinistra, greco a destra), collocate sulla medesima
pagina[12]; per quanto è
dato ricostruire dai frammenti superstiti, questi glossari offrivano il
testo integrale di Aen. I–III, presentando per i libri successivi,
almeno Aen. IV–V, solo una scelta di parole [13]. Nel caso specifico, è
lecito ritenere che P.Vindob. L 102 f, testimone di Aen. I
707–708, 714–715, tramandasse il testo virgiliano in forma completa e
continua.
Riguardo agli aspetti codicologici, le ridotte dimensioni del frustulo (18 × 23 mm) permettono di formulare solo alcune considerazioni di rilevanza parziale:
— la ricostruzione della parte greca a r. 7, se esatta (vd. più avanti), permette di stabilire la priorità testuale del lato →, pagina recto, sul lato ↓, pagina verso;
— la residua colonna latina al recto mostra una lemmatizzazione “larga” del testo virgiliano, che, nel caso particolare, prevede la disposizione di una sola parola per riga [14] (eccetto che a r. 1, dove tuttavia compare un sintagma con preposizione, che non viene di norma spezzato). Supponendo che tale criterio si conservasse costante almeno in questa pagina del glossario, sarebbero occorse 34 righe per contenere tutto il testo da Aen. I 707 per limina fino a 714Phoenissa, parola che immediatamente precede il binomioet pariter, restituito a r. 6 [15] (di norma una congiunzione aderisce alla parola seguente). In tal modo, considerati i 6 mm misurabili per l’altezza di una riga più interlinea, lo spazio scrittorio sarebbe risultato alto ca. 204 mm. Dati poi i 4 mm di larghezza della singola lettera e la nessuna o minima spaziatura riscontrabile fra le lettere stesse, si può stimare che la più lunga sequenza nell’intervallo testuale considerato, Aen. I 710 flagrantisque, doveva estendersi per ca. 50 mm, implicando un’ampiezza almeno equivalente della colonna latina, sebbene sia verosimile che il valore fosse un poco maggiore, ipoteticamente 60–70 mm [16], per conferire un certo respiro all’intercolumnio. Con ciò, è probabile che l’impaginazione originaria presentasse due colonne per pagina, poiché quattro colonne, coi valori indicati, si sarebbero estese in ampiezza fino a ca. 240–280 mm [17], dando luogo a uno spazio scrittorio più largo che alto, condizione senza paralleli nell’ambito dei “glossari virgiliani” noti. Si dà tuttavia il caso che su rr. 7, 9 si ritenga di dover ipotizzare la presenza di almeno due lemmi per ciascuna (puero donisque | … | ille ubi); ammesso perciò che simili accorpamenti ricorressero più di una volta nell’intervallo Aen. I 707 per limina–714 Phoenissa e che l’insieme di due colonne risultasse in ampiezza ca. 120–140 mm, sarebbero occorse un minimo di 20–23 righe per contenere tutto il testo dato senza determinare un poco verosimile spazio scrittorio, anche in questo caso, più largo che alto. Un’originaria impaginazione a due colonne diviene, del resto, tanto più probabile quanto più, facendo ipoteticamente diminuire il numero di righe per pagina, ci si approssima ai valori minimi appena stabiliti. Tale conclusione è compatibile colla norma degli altri “glossari virgiliani” noti che, quando a due colonne per pagina, si presentano allestiti con scritture librarie [18];
— l’impossibilità di quantificare esattamente la larghezza della colonna latina in rapporto col margine sinistro della corrispondente colonna greca, non conservata sul lato → (similmente manca l’intera colonna latina sul lato ↓), l’incertezza nel definire il valore dell’altezza dello spazio scrittorio, i soli 2,5 mm di margine interno residui al recto, l’irregolare margine interno determinato dall’incostante estensione delle righe greche al verso e la totale mancanza dei margini superiore e inferiore del foglio non consentono di effettuare un’attendibile ricostruzione del formato originario.
Considerando le modalità di edizione del “glossario”, è possibile osservare in P.Vindob. L 102 f, nonostante le lievi disarmonie della scrittura latina, un’apparente ekthesis applicata alla prima lettera, ingrandita, del primo e unico lemma di r. 4, conuenere, che è anche prima parola di Aen. I 708 (non si può dire se lo stesso si verificasse anche per la prima lettera della riga greca corrispondente); si tratta di una circostanza notevole, poiché finora, nell’ambito dei “glossari virgiliani”, tale dispositivo distintivo risultava testimoniato solo da manoscritti riferibili al VI sec. (P.Ness. II 1, P.Oxy. L 3553 e, ipoteticamente, P.Oxy. VIII 1099 e P.Vindob. L 24), di epoca perciò più tarda rispetto al frammento in questione [19]. È lecito infatti ritenere che P.Vindob. L 102 f sia piuttosto coevo a P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1, che, riferito al IV2–V1 sec., costituiva anche il solo esemplare noto diEneide latinogreca vergato in minuscola primitiva ad asse diritto [20]. Se la provenienza egiziana del frustulo è certa [21], non vi è ragione di escludere che proprio in Egitto l’originario codice abbia consumato l’intera sua esistenza, dal confezionamento fino alla distruzione.
Si dà di seguito il testo del papiro. Per le restituzioni nelle parti latine, che devono intendersi exempli gratia, ho tenuto presenti M. Geymonat, P. Vergili Maronis opera, Roma 22008, e G. B. Conte, P. Vergilius Maro. Aeneis, Berlin, New York 2009. La numerazione delle righe è consecutiva; i versi virgiliani di riferimento sono indicati a lato delle righe latine. Nelle note di commento, i testimoni latinogreci dell’Eneide sono citati, in termini testuali e di numerazioni delle righe, secondo le nuove edizioni da me curate [22].
1–2 Cf. Milano, Biblioteca Ambrosiana, L 120 sup., scriptio inf.
ff. 113–120 (d’ora in avanti Ambr.), r. 176 per limina laeta ανα
τουϲ ϊλαροῦϲ οδοῦϲ[23];
P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1 rr. 216–217 per limina [δ]ι[α] τ̣ων ουδων | laeta . . . . . .[.
Indeterminabile, qui, la traduzione della preposizione; oltre ai luoghi
paralleli già citati, nei testimoni latinogreci dell’Eneide per ~ ἀνά (P.Berol. inv. 21138 r. 19; P.Oxy. VIII 1099 r. 14;
Ambr. rr. 44, 129), διά (P.Berol. inv. 21138 r. 121; PSI VII 756 rr. 77,
115; P.Ness. II 1 rr. 177?, 710), πρόϲ (P.Ness. II 1 rr. 712, 714, 715); in
altri glossari, διά (P.Rain.Cent. 163 = P.Vindob. G 30885 a + e r.
61[24]; C.Gloss.Biling. I
15 = P.Berol. inv. 10582 r. 100 [25]; CGL II 145, 39; 270,
3; III 415, 22[26]), κατά
(C.Gloss.Biling. I 2 r. 113 = P.Sorb. inv. 2069 r. 105 [27]; CGL II 339, 33), ἐν
(C.Gloss.Biling. I 16 r. 124 [28]), insieme ai non
pertinenti λίαν, μὰ τόν, νὴ τόν, πάνυ, πολύ (registrati in CGL VII 67 s.v.per). Nel caso di limen, le edizioni latinogreche dell’ Eneide adottano esclusivamente la resa οὐδόϲ: oltre ai luoghi
paralleli citati, vd. PSI VII 756 rr. 22, 92; lo stesso corrispondente
compare in altri glossari (CGL II 123, 26; 389, 21; 501, 60; 526, 56; 544,
10; III 19, 51; 190, 53; 268, 63; 306, 37/38; 365, 20; 454, 61; 470, 46),
insieme alle alternative βατήρ (CGL II 123, 26), θύρα (CGL III 91, 43),
ὁροθέϲιον (CGL III 268, 63), παρόρια (CGL II 562, 42, ma si dovrà intendere limes; cf. C.Gloss.Biling. I 4 W n. ad r. 62), πρόθυρον
(CGL II 123, 26), ὑπέρθυρον (CGL II 464, 28), φλιά (CGL III 268, 63; 365,
20). In modo simile, laetus ~ ἱλαρόϲ, anche in P.Ness. II 1 r. 40;
Ambr. rr. 10, 54, 144, 190; CGL II 261, 48; 331, 63; 332, 1; III 341, 55;
453, 64, insieme alle alternative γαῦροϲ (CGL II 261, 48/51/53), φαιδρόϲ
(CGL II 469, 37), χαρίειϲ (CGL II 475, 40).
3 Cf. Ambr. r. 177 frequentes ϲυνεχεῖϲ. Oltre a quest’ultima resa, che ricorre sola anche in CGL II 445, 51, si dovrà considerare la coppia CGL II 73, 37 frequentes αθροι · ϲυνεχειϲ, che, in questa forma, potrebbe costituire doppia glossa virgiliana originaria, riconducibile forse proprio a Aen. I 707 [29].
4–5 Cf. Ambr. r. 178 conueniunt : tŏrīs ϲυνῆλθον : ταῖϲ ϲτρωμ[ναιϲ] (ϲυνῆλθον, corrispondente coll’atteso conuenere, certifica conueniunt quale errore di copia [30]; cf. il ravvicinato r. 154 conueniunt ϲυνερχονται, che può aver contribuito a determinare l’errore). Considerato anche P.Ness. II 1 r. 886 conuenere ϲυνηλθον, la restituzione di quest’ultima forma greca in P.Vindob. L 102 f appare affidabile (cf. CGL II 115, 27/43/48; III 159, 14/15); sono d’altronde attestati conuenio ~ μεθοδεύω (CGL II 115, 43/48; 116, 4/6; 366, 25; III 444, 1; 478, 66), ϲυμβάλλω (CGL II 441, 47), ϲυμφωνῶ (CGL II 115, 43/48; 443, 28; III 6, 35; 444, 3), ϲύνειμι (CGL II 446, 40), con un significato non sempre pertinente rispetto al contesto virgiliano. Vd. ancora conuenit ~ ἁρμόζει (CGL II 106, 35; 115, 27; 245, 12), δεῖ (CGL II 267, 4), ἐνδέχεται (CGL II 115, 27), προσήκει (CGL II 106, 35; 115, 48; 421, 26), προϲῆκον (sic!: CGL II 116, 7), ϲυμβαίνει (CGL II 115, 48), ϲυμφέρει (CGL III 444, 2), ϲυνοδεύει (CGL II 115, 48), ὑπομιμνήϲκει (CGL II 115, 48), χρή (CGL II 116, 2; 478, 25). A r. 5, non risulta alcuna alternativa alla restituzione di ταιϲ ϲτρωμναιϲ (oltre al luogo parallelo citato, vd. CGL II 199, 42; 439, 15; 489, 54; 513, 56; 539, 37; 551, 60). Impossibile dire se il seguente lemma iussi fosse collocato sulla stessa riga o, com’è forse più probabile, sulla successiva, data la lunghezza della riga greca risultante (e.g. ταιϲ ϲτρωμναιϲ κελευϲθεντεϲ; cf. Ambr. r. 179).
6–9 Cf. P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1 rr. 229–231et pariter puero και κοινη [τω παιδι] | d[o]ṇisque mouetuṛ και τοιϲ δ̣[ωροιϲ κινειται] | ille ụḅị εκι[ν]ο̣ϲ̣ ο̣π̣[. Entro i limiti di una ragionevole distanza testuale prima o dopo Aen. I 707–708 conservato sul recto di P.Vindob. L 102 f e in rapporto con quanto resta sul verso, r. 7, solo la ricostruzione di δ]ωροιϲ, corrispondente con donis di v. 714, appare possibile; la riga greca nel suo complesso, inoltre, doveva risultare abbastanza lunga da costringere lo scriba a ridurre il modulo delle lettere e inclinare verso il basso l’andamento della scrittura, che si sarebbe altrimenti approssimata troppo al limite destro assegnato alla colonna ovvero al margine del foglio (si tratterebbe, così, di una “riga eccedente” [31]). Non recano testo, caduto al di là dell’attuale linea di frattura sul versante sinistro del frammento, rr. 6, 8. A r. 9, a cavallo del bordo del papiro e in corrispondenza del ρ di r. 7, si scorge traccia di un apparente tratto orizzontale, libero all’estremità destra, collocato a ridosso dell’immaginaria linea superiore del sistema bilineare, come si può dedurre riportando al verso la distanza verticale fra le righe di scrittura mantenuta dallo scriba al recto. Una disposizione dei lemmi rr. 6 puero | 7 donisque | 8 mouetur | 9 ille non soddisfa, poiché si adatterebbe solo ad alcune delle condizioni appena definite; costituiscono difficoltà: la sequenza isolata και τοιϲ δωροιϲ a r. 7, che richiederebbe, stando alle proporzioni piene della scrittura latina, ca. 40 mm di sviluppo, apparentemente non sufficienti per determinare una riga eccedente (donum ~ δῶρον anche in P.Fouad 5 r. 86; P.Ness. II 1 rr. 240–241, 268, 300, 327; Ambr. rr. 72, 93, 141; CGL II 55, 6/10; 282, 52; III 134, 8/9; 170, 53; 238, 54; 468, 57); εκεινοϲ, corrispondente con ille (P.Berol. inv. 21138 rr. 132, 282, 322; P.Fouad 5 rr. 12, 60; P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1 rr. [28], 48, 93, 186; P.Oxy. L 3553 r. 38; P.Ness. II 1 rr. 42, 340, 492; Ambr. rr. 65, 135, 210; P.Rain.Cent. 163 = P.Vindob. G 30885 a + e r. 77; P.Ryl. I 61 r. 2[32]; P.Vindob. L 127 r. 12 [33]; C.Gloss.Biling. I 16 r. 191[34]; CGL VI 541 s.v.), che isolato a r. 9 non arriverebbe a lasciar traccia oltre l’attuale linea di frattura del frammento (d’altronde la traccia riscontrata sarebbe incompatibile con ϲ), mentre la traduzione dell’insieme ille ubi, qualsiasi fosse la resa di ubi fra le diverse alternative (ἔνθα in CGL II 299, 6; ἐπειδάν in CGL II 306, 26; ὁπηνίκα in Ambr. r. 15; CGL II 385, 10; ὅπου in P.Ness. II 1 r. 41; Ambr. r. 134; CGL II 205, 6; 385, 63; ποῦ in C.Gloss.Biling. I 15 = P.Berol. inv. 10582 r. 38; CGL II 414, 55), supererebbe in lunghezza l’eventuale r. 7 και τοιϲ δωροιϲ, contro l’evidenza del papiro. In modo simile, considerando solo r. 6, sarebbe impossibile porre sulla medesima riga et pariter puero, che darebbero luogo a una traduzione abbastanza lunga da lasciare traccia dove invece il papiro risulta non scritto (oltre al luogo parallelo citato, pariter ~ ἴϲωϲ in CGL II 333, 52; ὁμοθυμαδόν in CGL II 383, 17; ὁμοίωϲ in CGL II 383, 22; ὁμόϲε in C.Gloss.Biling. I 16 r. 117; ὁμοῦ in CGL II 142, 23; 383, 40; III 5, 72; 152, 32; puer ~ παῖϲ in C.Gloss.Biling. I 15 = P.Berol. inv. 10582 rr. 75, 100; CGL II 164, 18/19; 391, 54; 392, 24; 557, 64/66; III 11, 32; 84, 70; 199, 15; 249, 25; 278, 5; 327, 19; 328, 55; 348, 72; 352, 12; 461, 44; 501, 63; παιδίον in CGL III 249, 25; 414, 17/18; παιδάριον in CGL III 181, 24; 249, 25). La soluzione proposta a testo soddisfa la maggior parte delle condizioni poste dal frammento: r. 6 cade interamente; r. 7, che nella sua terminazione superstite presenta caratteristiche della riga eccedente, si allunga per ca. 60–70 mm stimabili (τω παιδι è restituito e.g., supponendo che iota muto non fosse generalmente notato, come in P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1); esclusa l’eventualità che questa sezione del glossario presentasse “righe miste”, data l’applicazione dell’ekthesis distintiva (r. 4) [35], si evita di collocare a r. 8 un binomio mouetur ille, lasciandovi il solo lemma mouetur, ultima parola di v. 714, affiancato dalla resa κινειται (cf. P.Ness. II 1 r. 540 ṃọ́ui ~ ηκινηϲε; r. 915 ṃọuetur κινιται; moueo ~ κινῶ anche in CGL II 131, 2; 349, 44; III 149, 15/16/17/18/19; 152, 46; ϲαλεύω in CGL II 131, 2; 429, 38; III 411, 28/29/30/31; 456, 74; ϲείω in CGL II 430, 26; 432, 22; III 6, 27; 158, 20/21/22/23), dimodoché la riga cade interamente. Rimane tuttavia incerta l’interpretazione della traccia in fine di r. 9. Anche ponendo sulla medesima riga ille ubi, non si trova, fra le diverse alternative attestate (ἔνθα, ἐπειδάν, ὁπηνίκα, ὅπου, ποῦ), alcun corrispondente di ubi desinente con una lettera riconducibile alla traccia riscontrata, costituita — come si è osservato — da un tronco di tratto orizzontale alto sopra il rigo di base, simile, per es., alla terminazione del tratto orizzontale di un τ, qui comunque non ipotizzabile. Cogli elementi a disposizione, si potrebbe pensare a εκεινοcεπειδα̅ ̅ = εκεινοϲ επειδα(ν), dove ν finale fosse reso coll’usuale tratto abbreviativo (come avviene, fra gli altri, in P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1 rr. 51, 73 e, forse, r. 154); si deve tuttavia osservare che, anche in questa forma, la riga greca potrebbe non risultare abbastanza estesa da lasciare traccia dell’ipotetico segno abbreviativo (quantunque prolungato ad libitum), considerata anche la possibilità che la prima lettera fosse posta in ekthesis coerentemente colla parte latina e che si verificassero scambi grafici ει > ι[36], con ulteriore accorciamento della sequenza. La lunghezza dell’eccedente parte greca di r. 7 potrebbe forse aver suggerito allo scriba di anticiparne l’attacco, per una o due lettere, a sinistra del margine assegnato alla relativa colonna, e, in tal modo, la distanza fra le estremità di rr. 7, 9 si sarebbe sufficientemente ridotta; quest’uso occasionale (e non distintivo) dell’ ekthesis è difficilmente ipotizzabile, però, per P.Vindob. L 102 f, poiché attestato, fin qui, solo per le sezioni con testo integrale di glossari che non presentano ekthesis distintiva (in P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1) o, più in generale, per le sezioni che contengono invece excerpta (in P.Ness. II 1; P.Vindob. L 24), dove l’ekthesis distintiva non è applicata mai [37]. In ultima instanza, si dovrà considerare l’eventualità che la traccia a r. 9 sia priva di immediato rapporto colla scrittura testuale e si sia prodotta in circostanze non più ricostruibili.
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Università degli Studi di Pavia |
Marco Fressura |
[1] Sono molto grato a Bernhard Palme per l’accoglienza e per il generoso supporto prestato in occasione del mio soggiorno di studio, che ho effettuato in veste di collaboratore scientifico dell’ERC–Project “Redhis. Rediscovering the hidden structure. A new appreciation of Juristic texts and Patterns of thought in Late Antiquity”, Università degli Studi di Pavia (Dipartimento di Giurisprudenza), Principal Investigator Dario Mantovani, Senior Staff Luigi Pellecchi (<http://redhis.unipv.it>).
[2]
LDAB 6193; TM 64952; MP3 2993.5; CLA X 1536 =
E. A. Lowe,
Codices Latini Antiquiores. A Palaeographical Guide to Latin
Manuscripts Prior to the Ninth Century
, X,
Austria, Belgium, Czechoslovakia, Denmark, Egypt and Holland
, Oxford 1963; R. Seider,Paläographie der lateinischen Papyri, II,Literarische Papyri, 2, Juristische und Christliche Texte, Stuttgart 1981, 73 n°
22 + tav. VIII. Riproduzione digitale in
Katalog der Papyrussammlung. Publizierte Papyri der
Österreichischen Nationalbibliothek
, <http://www.onb.ac.at/sammlungen/papyrus/
papyrus_bestandsrecherche.htm>.
[3] La prima edizione di questo testo sarà da me curata, in collaborazione con Bernard Stolte, nell’ambito del progetto “Redhis” (cit. n. 1).
[4] In tal modo, sembra non sia più possibile distinguere quali frammenti costituissero, originariamente e separatamente, P.Vindob. L 101 e 107.
[5]
Al momento della mia autopsia, P.Vindob. L 102 a era già stato
ricongiunto col frammento di P.Vindob. L 101 + 107 menzionato a
testo; ciò risulta da una riproduzione cartacea complessiva del
papiro realizzata prima dell’intervento di restauro (peraltro
evidenziato da una nota apposta sull’immagine) e consultabile come
documento allegato al papiro stesso. Ho io stesso individuato,
invece, i punti di congiunzione fra il medesimo frammento di
P.Vindob.
L 101 + 107 e P.Vindob. L 102 b, c (con qualche riserva per
quest’ultimo).
[6] Si vedrà M. Fressura, PSI XIII 1306: note codicologiche e paleografiche, in: N. Pellé (ed.), Spazio scritto e spazio non scritto nel libro papiraceo: esperienze a confronto. Atti della II Tavola Rotonda del Centro di Studi Papirologici dell’Università del Salento (Lecce, 9/10/2014) , Lecce (c.d.s.). A proposito di questa tipologia grafica si tengano comunque presenti: G. Cavallo, M. Manfredi, Proposte metodologiche per una nuova raccolta di facsimili di manoscritti greci letterari , in: PapCongr. XIV, 47–58; B. Breveglieri, Le Pandette fiorentine e i papiri giuridici. Nota paleografica , RAIB 69 (1980–1981) 181–201; S. Bernardinello, I più antichi codici della legislazione di Giustiniano nell’interscambio grafico tra Bisanzio e l’Italia , in: Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in memoria di Agostino Pertusi (Scienze filologiche e letteratura 22), Milano 1982, 3–14; N. van der Wal, Die Schreibweise der dem lateinischen entlehnten Fachworte in der frühbyzantinischen Juristensprache , Scriptorium 37 (1983) 29–53; G. Cavallo, F. Magistrale, Libri e scritture del diritto nell’età di Giustiniano, in: G. G. Archi (ed.), Il mondo del diritto nell’epoca giustinianea. Caratteri e problematiche (Biblioteca di Felix Ravenna 2), Ravenna 1985, 43–58 (anche in Index 15 [1987] 97–110); D. Bianconi, Alle origini dei Graeca di Prisciano. Il contesto culturale e librario, in: L. Martorelli (ed.), Greco antico nell’Occidente carolingio. Frammenti di testi attici nell’ Ars di Prisciano (Spudasmata 159), Hildesheim, Zürich, New York 2014, 319–339.
[7] Su questa scrittura e i suoi ambiti d’uso, in sintesi, P. Cherubini, A. Pratesi, Paleografia latina. L’avventura grafica del mondo occidentale (Littera antiqua 16), Città del Vaticano 2010, 98–100; ulteriori contributi in S. Ammirati, Per una storia del libro latino antico. Osservazioni paleografiche, bibliologiche e codicologiche sui manoscritti latini di argomento legale dalle origini alla tarda antichità , JJP 40 (2010) 55–110: 84–88, 90–97; G. Cavallo, P. Fioretti, Chiaroscuro. Oltre l’angolo di scrittura (secoli I a.C.–VI d.C.) , Scripta 7 (2014) 29–64: 54–56 (§7 a cura di G. Cavallo).
[8] Su tutto questo, B. Breveglieri, Materiali per lo studio della scrittura minuscola latina: i papiri letterari , S&C 7 (1983) 5–49.
[9] In generale, G. Cavallo, Ricerche sulla maiuscola biblica (Studi e testi di papirologia 2), Firenze 1967; P. Orsini, Manoscritti in maiuscola biblica. Materiali per un aggiornamento (Edizioni dell’Università degli Studi di Cassino. Collana Scientifica. Studi Archeologici, Artistici, Filologici, Letterari e Storici 7), Cassino 2005.
[10] Vd., più avanti, commento ad loc.
[11]
Il riferimento è al fenomeno della koiné scrittoria
grecolatina, rilevabile con piena evidenza nelle testimonianze
scritte a partire dal IV sec. Per l’ambito documentario, G.
Cavallo,
La κοινή scrittoria greco-romana nella prassi documentaria di
età bizantina
, JÖByz 19 (1970) 1–31 (anche in Pap.Flor. XXXVI, 43–71);
per l’ambito librario, meno aggiornato risulta
M. Norsa,
Analogie e coincidenze tra scritture greche e latine nei papiri
, in: Miscellanea Giovanni Mercati, VI, Paleografia – Bibliografia – Varia
(Studi e testi 126), Città del Vaticano 1946, 105–121: 114–121
(anche in M. Capasso [ed.], Omaggio a Medea Norsa
[Syngrammata 2], Napoli 1993, 137–156: 148–156); soprattutto per la
fase più tarda del fenomeno, vd. anche Cavallo, Manfredi,Proposte (cit. n. 6); Bernardinello,I più antichi codici (cit. n. 6); van der Wal,Die Schreibweise (cit. n. 6) 33–38; Cavallo, Magistrale, Libri e scritture (cit. n. 6) 49–50, 58. In sintesi, P.
Radiciotti,
Manoscritti digrafici grecolatini e latinogreci nell’antichità
, PapLup 6 (1997) 107–146: 119–120; G. Cavallo, La scrittura greca e latina dei papiri. Una introduzione
(Studia erudita 8), Pisa, Roma 2008, 175.
[12]
Erano fin qui noti dieci esemplari di questa tipologia testuale:
BKT IX 39 = P.Congr. XV 3 = P.Berol. inv. 21138 (LDAB 4149; TM
62957; MP3 2939.1); Milano, Biblioteca Ambrosiana, L
120 sup., scriptio inf. ff. 113–120 (LDAB 4156; TM 62964;
MP3 2943); P.Fouad 5 = P.Cair. JE 72044 (LDAB 4154; TM
62962; MP3 2948); P.Ness. (= P.Colt) II 1 (LDAB 4166; TM
62974; MP3 2939); P.Oxy. VIII 1099 (LDAB 4162; TM 62970;
MP3 2950); P.Oxy. L 3553 (LDAB 4160; TM 62968; MP 3 2941.1); P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. (=
P.Med.)
I 1 (LDAB 4146; 62954; MP3 2940); PSI VII 756 (LDAB
4155; TM 62963; MP3 2946); P.Vindob. L 24 (LDAB 4161; TM
62969; MP3 2951); P.Vindob. L 62 (LDAB 6194; TM 64953;
MP3 2944.1). Si rimanda a M. Fressura, Tipologie del glossario virgiliano, in: Pap.Leod.
II, 71–116. Edizioni dei testi sono apparse, fra l’altro,
nell’ampia raccolta generale Pap.Leod. I, ma sto tutt’ora
preparando un corpus dedicato ai soli materiali
latinogreci; cf. M. Fressura,Per un corpus dei papiri bilingui dell’Eneide di Virgilio, in: PapCongr. XXVI, 259–264. Esiste
inoltre un frammento di “glossario virgiliano” dedicato alleGeorgiche (I 229–237), P.Allen s.n., scriptio inf. (LDAB 4159; TM 62967; MP3 2936):
H. M. Husselman, A Palimpsest Fragment from Egypt, in: Studi in onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni,
II, Milano 1957, 453–459, poi in Pap.Leod. I, n° 33.
[13] Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 86–89.
[14] Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 96.
[15] Che r. 1 di P.Vindob. L 102 f fosse anche prima riga della pagina integra è un assunto ipotetico funzionale al ragionamento e non vi è alcun motivo di credere che allo stato pristino del manoscritto le cose stessero realmente in tal modo. In effetti, la posizione del frammento all’interno della pagina originaria resta indeterminabile.
[16] Valori che concorderebbero col dato offerto da P.Ryl. III 478 + P.Cair. JE 85644 + P.Mil. I 1; cf. Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 83.
[17] Si tenga presente che, nel manoscritto bilingue papiraceo, la colonna greca, dove vi sia un’impaginazione a due colonne, o la seconda colonna greca, dove ve ne sia una a quattro, non ha un margine destro rigorosamente definito; cf. Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 84.
[18] Indizi di un allestimento librario suggeriscono di considerare il manoscritto per natura apografo, non identificabile, cioè, con una copia di lavoro del compilatore della traduzione; Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 76–77, 78–79, 106–109.
[19] Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 95–99. In tal senso, P.Vindob. L 102 f, tenuto anche conto della lemmatizzazione “larga”, dovrebbe essere incluso nel “tipo C”, ma il poco che resta non permette di stabilire se il testo presentasse alterazioni dell’ ordo uerborum d’autore; l’eventualità che il papiro contemplasse cosiddette “righe miste”, determinate dalla sistemazione su una medesima riga di lemmi tratti da differenti versi virgiliani, appare poco probabile, poiché tale fenomeno risulta ignoto alle sezioni dei “glossari virgiliani” che tramandano il testo del poema in forma completa (Aen. I–III) e che presentano ekthesis distintiva del passaggio da un verso all’altro (l’osservazione è valida solo al verificarsi di entrambe le condizioni contemporaneamente).
[20] Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 72, 76.
[21] In Katalog der Papyrussammlung (cit. n. 2), si considera ipoteticamente, per il gruppo P.Vindob. L 101 + 102 + 107, una provenienza dall’Arsinoite, che, in assenza di alternative, si potrà forse ritenere valida anche per l’intruso P.Vindob. L 102 f. In generale, H. Loebenstein, Vom „Papyrus Erzherzog Reiner“ zur Papyrussammlung der Österreichischen Nationalbibliothek. 100 Jahre Sammeln, Bewahren, Edieren , in: P.Rain.Cent., 3–39: 24–25.
[22] Si cerca, in tal modo, di conservare la fruibilità di questo studio anche in rapporto col corpus dei testimoni latinogreci dell’Eneide in via di allestimento (cf., qui, n. 12). Per un confronto, Pap.Leod. I.
[23] Accenti e altri segni sempre originariamente apposti sul manoscritto dallo scriba; cf. Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 105.
[24] LDAB 554; TM 59455; MP3 2911. Revisione in D. Internullo, Cicerone latinogreco. Corpus dei papiri bilingui delle Catilinarie di Cicerone, PapLup 20–21 (2011–2012) 25–150.
[25] LDAB 6075; TM 64837; MP3 3009. Revisione in E. Dickey, How Coptic Speakers Learned Latin? A Reconsideration of P.Berol. inv. 10582 , ZPE 193 (2015) 65–77; ead., The Colloquia of the Hermeneumata Pseudodositheana, II, Colloquium Harleianum, Colloquium Montepessulanum , Colloquium Celtis, and Fragments (Cambridge Classical Texts and Commentaries 53), Cambridge 2015, 270–279.
[26] G. Goetz, Corpus glossariorum Latinorum, Lipsiae 1888–1923 (rist. Amsterdam 1965).
[27] LDAB 5438; TM 64219; MP3 3006.5. Revisione in E. Dickey, R. Ferri, A New Edition of the Latin-Greek Glossary on P.Sorb. inv. 2069 (verso) , ZPE 175 (2010) 177–187; Dickey, The Colloquia (cit. n. 25) 288–294.
[28] LDAB 5062; TM 63848; MP3 2685.1.
[29] Qualora si tratti effettivamente di glossa virgiliana e se ne voglia ipotizzare l’origine quale excerptum da un testimone bilingue dell’Eneide (o risultato dell’accorpamento di due glosse tratte da due testimoni diversi), essa si potrebbe con molto minore probabilità riferire a Aen. VI 486 o X 506, libri dei quali non è attestata la presenza nelle edizioni latinogreche; su questo e sul fenomeno della doppia glossa, in generale, Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 86, 89–91.
[30] Per questa linea di ragionamento, in generale, Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 106–108. Impossibile attribuire l’errata lezione conueniunt al compilatore della traduzione, come vorrebbe invece Pap.Leod. I, 86 n. 36, con rimando a M. Ch. Scappaticcio, Appunti per una riedizione dei frammenti del Palinsesto Virgiliano dell’Ambrosiana , APF 55 (2009) 96–120: 115, dove una simile ipotesi sembra trarre spunto dall’errato segno di lunga riscontrabile sopra o di toris, che — si sostiene — sarebbe stato apposto in ragione dell’incongrua sequenza metrica cōnuĕnĭūnt tŏrīs, accordabile coll’esametro solo con un forzato tō- in luogo, appunto, del naturale tŏ-. L’eventualità non è del tutto da escludere, ma, in quanto tale, non potrebbe implicare un ruolo del compilatore nell’introduzione dell’errato conueniunt (fatto per giunta smentito, come si è detto, dalla traduzione ϲυνῆλθον) né, tantomeno, nell’apposizione dei segni prosodici qui e nel resto del manoscritto.
[31] Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 84–86.
[32] LDAB 554; TM 59455; MP3 2922. Revisione in Internullo, Cicerone (cit. n. 24).
[33] LDAB 559; TM 59460; MP3 2923.1. Revisione in Internullo, Cicerone (cit. n. 24).
[34] Eccezionalmente, a quanto sembra, C.Gloss.Biling. II 9 r. 27 [ ad il]ḷum ~ προϲ α`υ´τ̣ο̣ν̣; cf. Dickey, The Colloquia (cit. n. 25) 281.
[35] Vd., qui, n. 19.
[36] Gignac, Gram. I, 189–190.
[37] Fressura, Tipologie (cit. n. 12) 95.