Maurizio Colombo


La campagna estiva del 357 in Germania I,
la spedizione del magister peditum praesentalis Barbatio contro gli Alamanni Iuthungi in Raetia II
e le manipolazioni narrative di Ammiano Marcellino



Nell’estate 357 una manovra a tenaglia avrebbe dovuto schiacciare gli Alamanni del Reno superiore e ricacciarli definitivamente oltre il fiume, riconquistando il territorio meridionale della Germania I; a questo scopo il magister peditum praesentalis Barbatio condusse con sé dall’Italia settentrionale l’exercitus praesentalis di Costanzo II, 25.000 uomini[1] . Giuliano marciò da Remi (Durocortorum) verso la regione di Brocomagus, Barbatio risalì il Reno da Rauraci (Augusta Rauracorum) [2]. La narrazione ammianea offre un quadro fortemente tendenzioso degli avvenimenti e dei personaggi; infatti per l’intera durata della campagna renana il generale, invece di combattere gli Alamanni, avrebbe ostacolato in tutti i modi Giuliano.

Barbatio, grazie alla complicità del tribunus Scutariorum Cella, avrebbe impedito che due tribuni di Giuliano, Bainobaudes e il futuro imperatore Valentiniano, inter­cettassero con i loro reggimenti di cavalleria scelta le bande brigantesche dei Laeti ribelli, ottenendo addirittura il congedo punitivo dei due ufficiali tramite una mendace relatio all’imperatore. Poi egli avrebbe negato il prestito di sette naues a Giuliano, che aveva intenzione di attaccare gli Alamanni sulle isole del Reno, dove essi avevano trovato rifugio dopo un’evacuazione parziale delle terre cisrenane; le settenaues face­vano parte delle imbarcazioni, che il generale uelut transiturus amnem ad compagi­nandos parauerat pontes, ma poi avrebbe incendiato in blocco, per sabotare il piano di Giuliano. Barbatio avrebbe anche bruciato i rifornimenti destinati all’ exercitus Gallicanus, dopo averne prelevato illegittimamente una parte; infine egli sarebbe stato sorpreso, sconfitto e costretto a una precipitosa ritirata da una numerosa banda di Alamanni, che lo avrebbero inseguito oltre Rauraci catturando la maggior parte delle sarcinae , degli iumenta e dei calones. A questo punto Barbatio, come se la sua parte della spedizione fosse terminata con pieno successo, avrebbe tranquillamente distri­buito i suoi soldati nelle stationes hibernae e sarebbe tornato al comitatus, per continuare a lanciare false accuse nei confronti di Giuliano [3].

Come abbiamo visto, Ammiano menziona cursoriamente i pontes, che Barbatio avrebbe simulato di volere fabbricare per l’attraversamento del Reno; la costruzione del ponte navale da parte di Barbatio e la distruzione dell’opera per mano degli Alamanni compaiono soltanto nel discorso celebrativo, che Libanio dedicò alla memoria di Giuliano [4]. Gli studiosi odierni sembrano essere letteralmente ammaliati dall’episodio del ponte [5]. Gli altri dettagli della spedizione non esercitano uguale fascino né godono di tanta fortuna; essi invece provano chiaramente che tutta la narrazione di Ammiano Marcellino, per esaltare Giuliano al massimo grado e denigrare Costanzo II in pari misura, non soltanto manomette pesantemente il genuino svolgimento delle operazioni belliche in Germania I, ma inoltre distorce la cronologia degli altri eventi, che ebbero luogo simultaneamente nel corso dell’estate 357. Qui dimostreremo che Barbatio dové interrompere la manovra a tenaglia in Germania I, per trasferire celer­mente l’exercitus praesentalis dalla Gallia sudorientale alla Raetia II, dove una violenta e inattesa invasione degli Alamanni Iuthungi aveva causato una gravissima situazione di crisi militare; Ammiano data la campagna di Barbatio in Germania I e la sua spedi­zione contro gli Alamanni Iuthungi rispettivamente al 357 e al 358, ma entrambe le spedizioni in realtà ebbero luogo durante l’estate 357.

In questa parte della narrazione i commenti espliciti o dissimulati di Ammiano sul conto di Barbatio e di Costanzo II denunciano il carattere estremamente capzioso del suo resoconto e la feroce ostilità della sua prospettiva[6]. La figura e le azioni di Barbatio nel corso dell’intera campagna sono soggette a deformazioni così pesanti, da assumere toni grotteschi e sconfinare nell’assurdità[7]. Riepiloghiamo quanto sappiamo sul conto del generale, accantonando i commenti ammianei. Barbatio era stato comes domesti­corum di Gallo Caesar, ma per ordine di Costanzo II aveva collaborato alla sua elimi­nazione (354)[8]; dopo la rivolta e l’assassinio del magister peditum praesentalis Siluanus[9], egli aveva preso il suo posto (355)[10]. Nell’estate 357 abbiamo l’enigma della spedizione renana; in un momento indeterminato del 358, secondo la dubbia cronologia delle Res Gestae, Barbatio ricevette il comando della spedizione contro gli Alamanni Iuthungi in Raetia II e conseguì una schiacciante vittoria sugli invasori [11]. Infine egli nell’inverno 358–359 fu accusato di aspirare alla porpora e venne giustiziato insieme alla moglie, che con una lettera sconsiderata al marito aveva attizzato i sospetti dell’imperatore [12].

Ammiano, per enfatizzare le grandi qualità e i tratti eroici di Giuliano, esprime costantemente un’avversione viscerale e irrefrenabile nei confronti di Costanzo II[13]; Arbitio, magister equitum praesentalis e rivale dell’idolatrato Ursicinus, riceve un uguale trattamento [14]. Le due prospettive storiografiche rendevano automaticamente Barbatio una vittima predestinata; egli non soltanto affiancò Giuliano per le operazioni militari dell’estate 357 in Germania I, ma inoltre fu il predecessore di Ursicinus quale magister peditum praesentalis [15]. È utile ricordare che alcune critiche oblique o dirette colpiscono anche il successore di Ursicinus come magister peditum praesentalis, Agilo [16].

Quanto più fango Ammiano accumulava su Barbatio, tanto più lustro Giuliano e Ursicinus ricevevano indirettamente da questa contrapposizione; non sappiamo se Barbatio fosse effettivamente una persona spregevole, ma è certo che lo storiografo ne dà una caratterizzazione ferocemente negativa fin dalla prima apparizione [17]. Poche righe riportano sbrigativamente la grande vittoria di Barbatio sugli Alamanni Iuthungi in Raetia II; anche in questa circostanza incontriamo un dissimulato e velenoso com­mento nei suoi confronti,ignauus sed uerbis effusior [18], dove riscontriamo la signifi­cativa ripresa dell’aggettivo ignauus dal primo episodio della campagna in Germania I [19]. Ammiano, benché contesti quasi sempre la fondatezza o la veridicità delle accuse nelle cause di maiestas sotto il regno di Costanzo II [20], presenta l’esecuzione di Barbatio come la giusta punizione per il suo ruolo nella drammatica e torbida fine di Gallo Caesar[21]. L’ elogium di Barbatio ripete e aggrava le precedenti accuse nei suoi con­fronti[22]; l’insistenza martellante di Ammiano sui falsi crimina, con cui Barbatio, già presunto calunniatore di Gallo Caesar [23], avrebbe infangato anche Giuliano presso Costanzo II [24], chiarisce bene l’assoluta inaffidabilità delle Res Gestae sulla spedizione estiva del 357 in Germania I. Il rigoroso silenzio di Giuliano, che non menziona mai Barbatio neppure per via di allusione anonima, conferma tale giudizio.

Il presunto congedo del futuro imperatore Valentiniano per un intrigo di Barbatio proprio durante la campagna in Germania I (Amm. XVI, 11, 6–7) costituisce un evi­dente e corposo indizio circa le abilissime alterazioni, con cui Ammiano ha costruito la sua versione degli avvenimenti in senso spudoratamente favorevole a Giuliano. Ammiano elabora ed espone un aneddoto apparentemente verosimile, ma pieno di con­traddizioni sostanziali e di lacune logiche; purtroppo la sua credibilità ha tratto enorme vantaggio dalle storielle edificanti e agiografiche degli storiografi ecclesiastici sulle immaginarie peripezie di Valentiniano sotto il regno di Giuliano. Benché molti accet­tino serenamente le assurdità di Ammiano o degli storiografi ecclesiastici ovvero le amalgamino [25], il fittizio incidente è chiaramente funzionale tanto alla rappresentazione deteriore di Barbatio, quanto alla cancellazione di Valentiniano dalla scena narrativa per tutto il regno di Giuliano quale Caesar e Augustus. La seconda manipolazione di Ammiano mirava a un triplice obiettivo: sopprimere totalmente la militia di Valenti­niano sotto il comando di Giuliano (le due campagne germaniche del 356–357 e la spedizione contro i Persiani) e di Costanzo II (le campagne danubiane del 358–359 e le operazioni militari in Mesopotamia nel 360–361), tacere i meriti del futuro imperatore quale tribunus di una uexillatio comitatensis prima della sua elezione ad Augustus, disinnescare preventivamente l’imbarazzante e indigesta questione delle tensioni reli­giose, che agitarono l’esercito radunato da Giuliano per ilbellum Persicum [26].

Esaminiamo meglio questo episodio. Per facilitare la comprensione dell’analisi, è opportuno riprodurre integralmente il brano:

4. Dum haec tamen rite disposita celerantur, Laeti barbari ad tempestiua furta sollertes inter utriusque exercitus castra occulte transgressi inuasere Lugdunum incautam, eamque populatam ui subita concremassent, ni clausis aditibus repercussi quicquid extra oppidum potuit inueniri uastassent. 5. Qua clade cognita agili studio Caesar missis cuneis tribus equitum expeditorum et fortium tria obseruauit itinera, sciens per ea erupturos procul dubio grassatores: nec co <natus ord>inanti inritus fuit [27]. 6. Cunctis enim qui per eos tramites exiere truncatis receptaque praeda omni intacta, hi soli innoxii absoluti sunt, qui per uallum Barbationis transiere securi, ideo labi permissi, quod Bainobaudes tribunus et Valentinianus postea imperator cum eque­stribus turmis quas regebant, ad exsequendum id ordinati, a Cella tribuno Scutariorum, qui Barbationi sociatus uenerat ad procinctum, iter obseruare sunt uetiti, unde redituros didicere Germanos. 7. Quo non contentus magister peditum ignauus et gloriarum Iuliani peruicax obtrectator, sciens se id contra utilitatem Romanae rei iussisse (hoc enim, cum argueretur, Cella confessus est), relatione fefellit Constantium finxitque hos eosdem tribunos ad sollicitandos milites quos duxerat per speciem uenisse negotii publici: qua causa abrogata potestate ad lares rediere priuati.

Valentiniano e Bainobaudes facevano sicuramente parte dell’ exercitus Gallicanus; per affermare il contrario, è necessario chiudere gli occhi e ignorare volontariamente il testo di Ammiano, che adopera la limpida espressionead sollicitandos milites quos duxerat […] uenisse[28]. L’uso del verbouenio e la puntuale precisazione della propo­sizione relativa quos duxerat significano implicitamente che essi erano estranei all’exercitus praesentalis sotto il comando di Barbatio. Il numero oscillante dei reggi­menti equestri e delle strade rappresenta una stranezza evidente e madornale, ma gli studiosi moderni trascurano tranquillamente tale dettaglio: tre cunei equitum e treitinera, che sono in realtà cinque cunei equitum oequestres turmae e quattro itinera, cioè i tre cunei equitum entrati in azione e i tre itinera effettivamente sorvegliati più le due equestres turmae lasciate inattive e l’iter incustodito. Possiamo tentare qualsiasi soluzione, ma il risultato resta immutato: i conti non tornano mai e i dati della narra­zione sono irrimediabilmente contraddittori. La soluzione del problema è molto sem­plice: le due equestres turmae di Bainobaudes e di Valentiniano coincidono con due dei tre cunei equitum, che erano ovviamente uexillationes equitum comitatenses [29]. Già questa constatazione basta a provare la falsità di Amm. XVI, 11, 6–7. Se l’aneddoto ammianeo, invece di essere una mera e seducente invenzione, distorce con abile malizia un fatto reale, Valentiniano e la sua uexillatio furono trasferiti dall’exercitus Gallicanus all’exercitus praesentalis, quando nell’inverno 357–358 Giuliano inviò a Costanzo II appunto ἱππέων τάγματα δύο τὰ ἐντιμότατα, cioè dueuexillationes comitatenses [30].

Nell’estate 357 Giuliano aveva con sé soltanto 13.000 uomini[31], circa la metà deicomitatenses gallici [32]; in quell’occasione la sua cavalleria includeva una uexillatio comitatensis disagittarii e una di cataphractarii [33], che erano unità inadatte agli agguati e alla guerriglia[34]. Pertanto i tre cunei equitum, di cui le equestres turmae di Baino­baudes e di Valentiniano facevano parte, dovevano appartenere alla normale cavalleria d’urto; il reparto di Valentiniano era la uexillatio comitatensis degli equites Cornuti iun., mentre Bainobaudes, che può essere identificato con l’omonimo tribunus Scuta­riorum di Costanzo II, comandava il distaccamento di Scutarii e di Gentiles al seguito di Giuliano Caesar[35].

Anche se nell’estate 358 troviamo il tribunus Scutariorum Nestica al fianco di Giuliano[36], ciò non prova la veridicità di Ammiano circa il congedo punitivo [37]. Bainobaudes poteva essere defunto per cause naturali, avere ricevuto una promozione o essere ritornato al comitatus di Costanzo II. Il magister equitum per Gallias Seuerus, dopo avere tenuto il comando dei comitatenses gallici nel 357–358 [38], morì prima dell’estate 359[39], quando troviamo Lupicinus al suo posto[40]. Il comes domesticorum (il suo nome è materia controversa), che prestava servizio alle dipendenze di Giuliano nell’inverno 360 [41], fu sostituito da Dagalaifus nella primavera 361 [42]. La carriera di Neuitta dimostra che c’era un regolare scambio di personale militare tra l’ Augustus e il Caesar; egli nell’estate 357 (358 secondo la cronologia ammianea) si era distinto com­battendo valorosamente con gli Alamanni Iuthungi quale ufficiale di cavalleria agli ordini di Barbatio [43], ma nella primavera 361 ricompare come magister militum e fedele seguace di Giuliano [44]. C’è anche un’ipotesi alternativa per l’identificazione di Baino­baudes, che potrebbe essere stato semplicemente il comandante di una uexillatio comitatensis; questa soluzione elimina la necessità di spiegare la sua sostituzione con Nestica. In tale caso Bainobaudes potrebbe avere comandato l’altra uexillatio, che fu tras­ferita con il reparto di Valentiniano dall’exercitus Gallicanus all’exercitus praesen­talis.

L’attendibilità dell’aneddoto ammianeo si fonda tutta sul ritratto negativo di Barbatio; la caratterizzazione grottesca di Barbatio durante la campagna estiva del 357 in Germania I a sua volta ottiene credito attraverso questo episodio, che apre gli atti apparentemente assurdi e insensati del generale. Un ulteriore punto può chiarire bene l’estrema tendenziosità di Ammiano, che con l’abile inserimento di una frase paren­tetica aggiunge un’informazione allo stesso tempo sconcertante e significativa: hoc enim, cum argueretur, Cella confessus est [45].

Le consuetudini semantiche delle Res Gestae vedono arguo sia assumere valore generico [46], sia essere usato in senso tecnico[47]. Il significato letterale della frase è palmare: Cella, quando fu ‘accusato’, confessò che Barbatio aveva scientemente emanato un ordine contra utilitatem Romanae rei. Però qui incontriamo una vistosa e isolata deviazione dalle abituali costruzioni del verbo in Ammiano, benché altri autori, compresi i suoi modelli di lingua e di stile, ne ammettano l’uso assoluto in una mino­ranza di casi [48]; per quanto riguarda le Res Gestae, esso è solito reggere soprattutto la proposizione infinitiva[49] , ma anche il genitivo[50], l’avverbio comparativo ut [51], la con­giunzione subordinante di valore dichiarativo quod [52], il complemento oggetto con ellissi della proposizione infinitiva [53], il complemento oggetto e il participio congiunto del soggetto con il complemento predicativo del complemento oggetto [54]. La costru­zione sintattica di Amm. XVI, 11, 7 è totalmente diversa dall’ellissi di XXII, 9, 10 interrogatus ad ultimum qui esset quem argueret, dove il contenuto dell’accusa è espresso nella parte iniziale del periodo,Inimicum quidam suum […] commisisse in maiestatem turbulentius deferebat; là il soggetto della proposizione infinitiva e il com­plemento oggetto di argueret sono la stessa persona, qui il soggetto della proposizione infinitiva se id contra utilitatem Romanae rei iussisse è Barbatio e il soggetto di argueretur è Cella.

La volontaria e sottile ambiguità della forma espressiva permette di ottenebrare il contesto (la confessione di Cella seguì un’accusa formale o un semplice rinfaccio?) e di omettere l’oggetto (quale era l’accusa o il rimprovero?). Cella morì opportunamente già nel 359, combattendo con i Sarmati Limigantes[55]; i libri XVII–XIX non accennano mai a nessuna accusa nei suoi confronti, neppure nell’ambito dei processi scatenati dall’esecuzione di Barbatio [56]. L’ammissione di una colpa altrui da parte di un defunto, che fu accusato ovvero rimproverato da una persona ignota per ragioni sconosciute in un momento indefinito: il genio stilistico e narrativo di Ammiano qui raggiunge un apice, ma la sua affidabilità tocca il fondo.

Il sistema viario della Gallia romana confuta ulteriormente la testimonianza di Ammiano circa tale incidente [57]. Quando l’assalto improvviso dei Laeti barbari investì e quasi catturò Lugdunum, Giuliano stava muovendo le insegne da Remi in direzione del Reno superiore, mentre Barbatio marciava da Rauraci verso il tratto meridionale dellaGermania I. L’espressione ammianea inter utriusque exercitus castra occulte transgressi sembra appositamente concepita al fine di alleggerire le responsabilità del solo Giuliano; due fatti suffragano questa ipotesi. La reazione pronta ed efficace di Giuliano indica che la sua armata era la più vicina alle bande dei Laeti barbari; dal momento che la cavalleria romana non aveva le ali, il pieno successo degli agguati prova che i trecunei equitum ebbero il tempo di raggiungere i rispettiviitinera prima dei grassatores. Tra la Belgica II e il Reno superiore la strada più breve per Lugdunum passava attraverso Mediomatrices (Diuodurum), Scarponna, Tullum, Solimariaca, Nouiomagus, Lingones (Andematunnum), Castrum Diuionense, Cabillonum, Tinur­tium e Matisco; Mediomatrices era appunto sul tragitto da Remi a Brocomagus. Se i Laeti barbari avessero percorso l’altro itinerario (attraverso Argentoratum, Heluetum, Argentouaria, Cambete, Epamanduodurum e Vesontio fino a Cabillonum) sarebbero finiti dritti tra le braccia di Barbatio, che in quel momento stava risalendo la strada lungo la riva sinistra del Reno superiore [58]. Ciò significa che essi erano transitati, per così dire, sotto il naso di Giuliano o provenivano da una provincia di sua competenza.

L’origine etnica dei predoni è genericamente enunciata da Ammiano, che li defi­nisce barbari e Germani. La locuzione Laeti barbari trova corrispondenza nella peri­frasi di un altro passo: adulescentes Laetos quosdam, cis Rhenum editam barbarorum progeniem [59] . Qui l’etnonimo generico Germani, là l’idronimo precisano che in entrambi i casi i Laeti avevano radici transrenane; ma Ammiano non offre nessun indizio, che possa consentire di attribuire una specifica identità ai suoi Laeti.

Molti studiosi reputano che i Laeti ribelli fossero Alamanni e provenissero dall’odierna Alsazia; ma la presenza di Laeti alamannici o germanici nella parte meridionale della Germania I non è corroborata dalle informazioni superstiti sulla distribuzione geografica dei loro insediamenti nelle Gallie, dove tutte le località appar­tengono a province interne. Tale quadro è sicuramente lacunoso e frammentario, ma possiede comunque valore indicativo circa le tendenze generali del governo imperiale, che dall’età tetrarchica al principio del V secolo manifesta una prassi coerente e una sana prudenza nella ripartizione dei barbari prigionieri di guerra o dediticii sul suolo gallico. Ausonio tramanda l’unica eccezione, che tuttavia non riguarda i Germani; descrivendo il tragitto da Bingium alla Mosella, egli pone i coloni dei Sarmati nel tratto tra Dumnissus e Nouiomagus Treuerorum, cioè in prossimità del confine settentrionale traGermania I e Belgica I [60].

Secondo la Notitia Dignitatum Occidentis gli altri prigionieri di guerra sarmatici risiedevano nell’interno della Gallia. Troviamo Sarmatae e Taifali gentiles presso Pictaui (Limonum) in Aquitanica II; i soliSarmatae gentiles sono documentati a Lingones inLugdunensis I, tra Chora e Parisii (Lutetia) in Lugdunensis Senonia (Lugdunensis II almeno fino al regno di Valentiniano I), tra Remi e Ambiani (Samaro­briva) in Belgica II, infine per tractum Rodunensem et Alaunorum, dove il testo tradito suscita seri sospetti e consiglia di emendare Rodunensem in Redonensem (tale corruttela è perfettamente plausibile sul piano paleografico nell’ambito della minuscola carolina), cioè la zona da Redones (Condate Redonum) in Lugdunensis III ad Alauna in Lugdu­nensis II (entrambe le località facevano parte della Lugdunensis II almeno fino al regno di Valentiniano I)[61].

I prigionieri di guerra germanici di Massimiano Erculio e di Costanzo I Caesar furono deportati nei territori di Treueri (Augusta Treuerorum) in Belgica I, Ambiani e Bellouaci (Caesaromagus) in Belgica II, Tricasses (Augustobona) in Lugdunensis II e Lingones in Lugdunensis I; essi erano Franchi [62]. Al principio del V secolo i laeti Franci vivevano nei pressi di Redones inLugdunensis III (già Lugdunensis II); i laeti gentiles Suebi abitavano le regioni di Baiocasses (Augustodurum) e di Constantia in Lugdu­nensis II, Cenomani (Subdinnum) in Lugdunensis III (già Lugdunensis II), Remi e Siluanectes (Augustomagus) in Belgica II, Aruerni (Augustonemetum) in Aquitanica I.

L’identificazione dei Laeti barbari con Alamanni prigionieri di guerra o dediticii stanziati nelle terre meridionali della Germania I pare altamente improbabile anche per una ragione strategica. L’attacco degli Alamanni ad Augustodunum nell’inverno 356 segnò la massima penetrazione delle loro scorrerie verso sud [63]; in quel momento le loro bande non soltanto occupavano tutta la Germania I [64], ma inoltre vagavano liberamente per la Gallia centrale [65]. L’obiettivo stesso dell’incursione, cioè la capitale ammini­strativa della Lugdunensis I, rispecchia piuttosto l’ottica locale e la prossimità geo­grafica di barbari viventi nella stessa provincia. La posizione di Lugdunum autorizza un’ipotesi assai verosimile sulla provenienza dei Laeti barbari: essi erano insediati nel tratto settentrionale della Lugdunensis I. Sotto la prima Tetrarchia una comunità di Laeti Franci è attestata appunto nel territorio di Lingones. Come abbiamo visto, Lingones sorgeva lungo il tragitto, che portava da Mediomatrices a Lugdunum; perciò i tre itinera sono le tre strade da Cabillonum verso Augustodunum, Lingones e Vesontio. Ammiano, usando erupturos per i tre itinera sorvegliati e redituros per l’iter sguarnito, sembra distinguere quattro mete diverse e due missioni differenti; ma egli in realtà manipola abilmente anche le direzioni delle tre strade da Cabillonum. Queste vie erano perfettamente compatibili tanto con erupturos quanto con redituros; infatti una ritornava direttamente verso Lingones, mentre le altre due raggiungevano Lingones facendo un lungo giro rispettivamente per Augustodunum e attraverso Vesontio.

Il punto più vicino a Rauraci è Vesontio; le due località distavano 74leugae, cioè 164 chilometri [66]. Da nessun punto di vista Bainobaudes e Valentiniano avrebbero potuto essere accusati di illegittime ingerenze nella zona bellica sotto l’autorità tempo­ranea di Barbatio. Un fatto merita di essere abbondantemente sottolineato. Anche se è lecito elaborare cervellotici e tortuosi tragitti (ad esempio, da Lugdunum a Rauraci attraverso Genaua, Nouiodunum, Lousonna, Urba, Eburodunum, Auenticum, Peti­nesca, Salodurum), non c’è neppure la vaga o remota possibilità di un quarto iter, che da un lato soddisfi tutte le condizioni geografiche e temporali, dall’altro risulti realistico ed effettivamente praticabile; esso infatti esisteva soltanto nel geniale ingegno di Ammiano.

L’incidente dei Laeti ribelli mostra Giuliano capace di concepire e di portare a termine con pieno successo un piano efficace [67], mentre Barbatio sa soltanto sabotare lo stratagemma salutare del Caesar e calunniare le sue imprese. Il riferimento obliquo e abilmente denigratorio ( uelut transiturus amnem) al ponte navale di Barbatio, così come l’incendio delle navi, da un lato servono a esaltare la determinazione e l’inge­gnosità di Giuliano nella micidiale incursione contro le isole del Reno[68], dall’altro eliminano la circostanza specifica, che bastava a provare non soltanto il ruolo primario del generale nella campagna militare, ma anche la responsabilità di Giuliano per il mutamento del piano originario. L’appropriazione e l’incendio del commeatus non sol­tanto sottolineano la previdenza e l’operosità di Giuliano, che restaurò la fortezza di Tres Tabernae e procurò i viveri sia per la guarnigione sia per il resto delle sue truppe ex barbaricis messibus [69], ma inoltre forniscono lo spunto adeguato per il commento ostile di Ammiano sulle azioni di Barbatio e sui sinistri propositi di Costanzo II. Giuliano acquisisce statura eroica anche tramite la costante contrapposizione a Barbatio; ma la verità era ben differente.

Ammiano nomina esplicitamente la manovra a tenaglia e ne specifica l’obiettivo[70], ma poi ricorda soltanto attraverso un accenno cursorio che i due eserciti rimasero separati[71]. Libanio invece presenta la διάβασις come il solo scopo del piano ro­mano [72], ma tramanda esplicitamente il mancato congiungimento dei due eserciti; egli ne attri­buisce la colpa a una decisione autonoma e maligna di Costanzo II, che avrebbe voluto negare a Giuliano di condividere il merito della vittoria sugli Alamanni[73] . La cronologia approssimativa degli eventi mostra che Libanio distorce pesantemente tanto la strategia originaria quanto la causa della sua modifica, per glorificare Giuliano e denigrare Costanzo. Le alterazioni ancora più gravi di Ammiano indicano che questo punto aveva importanza fondamentale.

Le operazioni belliche nelle Gallie erano solite cominciare nel mese di Luglio[74]. La partenza delle truppe per il teatro bellico molto probabilmente avveniva in conco­mitanza del solstitium [75]; Giuliano mosse le insegne da Remi appunto ἀκμάζοντος τοῦ σίτου [76]. L’assalto fluviale, che seguì l’annientamento dei Laeti barbari, ebbe luogoaestate iam torrida [77]; il restauro di Tres Tabernae e la battaglia di Argentoratum caddero durante la mietitura [78], che in tempo di pace perlopiù andava dal solstitium alla canicula [79], ma poteva arrivare fino al 12 Agosto[80]. Il fittizio discorso di Giuliano prima della marcia romana verso il campo di battaglia menziona non soltanto la temperatura elevata e continua della regione (terrae protinus aestu flagrantes), ma anche la fase calante della luna (senescente luna) [81]; il dato astronomico indica un giorno sicuramente posteriore al 16 Agosto 357 [82], forse intorno al 25 Agosto[83]. Prima di affrontare gli Alamanni ad Argentoratum, i comitatenses gallici spesero quasi due mesi per tre azioni certamente utili da un punto di vista tattico, ma superflue e marginali sul piano strate­gico: l’eliminazione dei Laeti barbari, l’incursione contro le isole del Reno superiore e la ricostruzione di Tres Tabernae, conclusa poco tempo prima della battaglia[84].

Grazie all’indugio inopportuno dell’exercitus Gallicanus l’obiettivo strategico del piano originario, cioè gli Alamanni qui domicilia fixere cis Rhenum, avevano potuto eludere le truppe romane e rifugiarsi lungo le pendici boscose del mons Vosegus o sulle isole del Reno superiore; il generico sincronismo di Ammiano, isdem diebus, confessa involontariamente che la caccia ai Laeti barbari permise la fuga degli Alamanni[85]. A questo punto la manovra a tenaglia era naufragata per mancanza di obiettivi e venne prontamente abbandonata; Costanzo II, per bilanciare il fallimento del piano originario, ordinò a Barbatio di costruire un ponte navale e di attaccare i pagi alamannici oltre il Reno, poiché l’ingente concentrazione di truppe e di mezzi poteva ancora fruttare almeno un successo tattico. L’appropriazione parziale del commeatus e la distruzione del resto costituiscono un indizio evidente circa il ritardo di Giuliano; Barbatio non poteva attendere indefinitamente l’arrivo del Caesar al punto di incontro né lasciare i rifornimenti incustoditi né onerare eccessivamente le sue salmerie. L’incursione di Giuliano contro le isole renane aveva lo scopo velleitario di compensare le conseguenze strategiche del suo errore; ma proprio le prolungate riparazioni di Tres Tabernae dimo­strano che ormai il piano era cambiato e l’ exercitus Gallicanus era stato relegato a mansioni di seconda linea. Giuliano, scegliendo di dare la caccia ai Laeti barbari prima di proseguire la sua avanzata, dissestò irrimediabilmente la manovra a tenaglia e impedì il congiungimento dei due eserciti in tempo utile; il ripiegamento estemporaneo di Costanzo II sull’attraversamento del Reno fu una conseguenza diretta delle differenti priorità di Giuliano [86].

Un solo dettaglio di Ammiano trova parziale riscontro in Libanio, che menziona la ‘fuga’ di Barbatio e il suo inseguimento da parte degli Alamanni; essi, dopo che avevano distrutto il ponte navale affidando grossi tronchi alla corrente del fiume, attra­versarono appositamente il Reno al fine di aggredire le truppe romane [87]. La versione di Libanio è meno faziosa della narrazione ammianea, ma contiene comunque un salto logico e una grossolana falsità. La distruzione del ponte navale fu sufficiente a pro­vocare la fuga immediata di Barbatio e del suo esercito (ᾤχετο φεύγων); gli Alamanni, quando raggiunsero i fuggitivi, li trucidarono (καταλαβόντες ἔκτεινον).

Bisogna tenere bene a mente che Ammiano e Libanio condividono il medesimo scopo, cioè conferire massimo rilievo alla brillante vittoria di Giuliano presso Argen­toratum. In entrambi gli autori la ‘fuga’ di Barbatio è direttamente funzionale a eviden­ziare per contrasto le doti militari e la gloria di Giuliano, che nonostante l’inferiorità numerica del suo esercito seppe vincere gli Alamanni in campo aperto. Ammiano, descri­vendo la situazione strategica e le condizioni tattiche prima di Argentoratum, significa­tivamente nomina sei volte la ‘fuga’ di Barbatio [88]; inoltre egli, per accentuare la denigra­zione del generale, contraddice disinvoltamente se stesso, dal momento che gli Alamanni autori dell’inseguimento risultano essere prima una multitudo, poi pauci latrones [89]. Nel resoconto ammianeo la ‘fuga’ del magister peditum praesentalis ha la stessa natura degli altri episodi e svolge il medesimo ruolo sul piano narrativo.

La dottrina vulgata, prestando fede a Libanio, crede che il solo obiettivo di Barbatio fosse l’attraversamento del Reno superiore; pertanto la sua ritirata, fatta la tara alle distorsioni e alle esagerazioni di Ammiano e di Libanio, sarebbe un fatto reale e l’ovvia conseguenza della distruzione del ponte navale[90]. Ma è altamente implausibile che il piano romano fosse assolutamente impermeabile al mutamento delle contingenze; la lettura incrociata di Ammiano e di Libanio, come abbiamo visto, attesta appunto la modificazione dell’originaria manovra a tenaglia in un’offensiva transrenana. Dopo la ritirata di Barbatio fu lo stesso praefectus praetorio Galliarum Florentius, il principale e più fidato rappresentante dell’imperatore in Gallia, a propugnare con il massimo vigore la necessità e la convenienza di affrontare subito gli Alamanni in battaglia campale ad Argentoratum [91].

La distruzione del ponte navale (Libanio) e l’incendio delle navi (Ammiano) sono due eventi distinti, di cui l’uno precedette l’altro, ma non ne fu la causa. Qualcosa avvenne nel mezzo dei due fatti e impose a Barbatio di interrompere subito la sua partecipazione alla campagna in Germania I. L’invasione della Raetia II da parte degli Alamanni Iuthungi fu il fattore imprevisto, che indusse Costanzo II a ordinare l’imme­diato spostamento dell’exercitus praesentalis dalla parte meridionale della Germania I alla provincia dell’alto Danubio; tale crisi fu annunciata all’imperatore durante il suo soggiorno a Roma dal 28 Aprile al 29 Maggio [92]. Nonostante le varie alterazioni, Ammiano tramanda onestamente due particolari molto importanti, cioè la contiguità degli Alamanni Iuthungi all’Italia settentrionale e gli insoliti assedi degli oppida retici a opera degli invasori [93]. L’allarme di Costanzo e la fretta di Barbatio erano pienamente giustificati. Dopo che il ritardo di Giuliano aveva causato il fallimento della manovra a tenaglia, l’urgenza di respingere gli Iuthungi oltre l’alto Danubio precludeva la possi­bilità di insistere ulteriormente nel tentativo di attraversare il Reno e di proseguire le operazioni belliche contro gli Alamanni in Germania I.

L’incendio delle navi è un dettaglio perfettamente compatibile con le necessità impellenti di un repentino e celere trasferimento verso un altro limes; la navigazione controcorrente o il trasporto delle imbarcazioni via terra avrebbe rallentato la colonna romana. Inoltre gli Alamanni, qualora la partenza dell’exercitus praesentalis li avesse indotti a tentare la sorte (come poi effettivamente accadde), non dovevano trovare materiali utili sulla riva sinistra del Reno. L’attacco impunito degli Alamanni contro la colonna romana in marcia si adatta perfettamente a tale quadro; l’exercitus praesentalis non poteva perdere tempo in scaramucce di retroguardia né ritardare la sua avanzata, per rispondere agli assalti di pauci latrones contro le salmerie. Ammiano implicita­mente attesta che i pauci latrones provenivano dai medesimi pagi dell’armata germa­nica ad Argentoratum; infatti gli Alamanni riuniti sotto l’autorità di Chnodomarius ebbero modo di esaminare le insegne degli scudi perduti dai soldati dell’exercitus praesentalis [94].

La campagna retica di Barbatio contro gli Alamanni Iuthungi viene comunemente datata all’estate 358 secondo la cronologia apparente delle Res Gestae[95]. Alcuni studiosi preferiscono comunque collocarla nel 357. Otto Seeck ridusse tutto il problema a una questione di Quellenforschung. Egli ritenne che Amm. XVI, 11 e XVII, 6 deri­vassero da due differenti fonti; là il generale sarebbe stato dettagliatamente caratte­rizzato, qui verrebbe introdotto come un nuovo personaggio. Perciò questo passo proverrebbe verosimilmente dall’Annalista (altrimenti noto come ‘Nicomaco Flaviano’); esso potrebbe essere datato al principio del 357, poiché Barbatio a XVI, 11, 2 compare a Rauraci e la città si trovava sulla sua strada, se egli voleva congiungersi a Giuliano dopo la sconfitta degli Iuthungi: “Doch bleibt jene Zeitbestimmung höchst unsicher” [96]. Guy Sabbah segue prudentemente l’opinione di Seeck, ma attribuisce l’errore di Ammiano all’uso di una fonte orale e indiretta [97]. Ammiano qui non commette un banale errore di copiatura, né viene tratto in inganno da un informatore distratto o un po’ confuso; egli manipola consapevolmente l’ordinamento temporale della narrazione in nome di un duplice fine: conferire maggiore credibilità al suo ritratto di Barbatio e riservare il culmine del libro XVI alla vittoria di Giuliano presso Argentoratum.

In merito alla campagna di Barbatio contro gli Alamanni Iuthungi dobbiamo notare tre dettagli fondamentali. Costanzo II aveva celebrato il suoaduentus a Roma il 28 Aprile 357 [98]; durante la permanenza nell’Urbe egli ricevette notizie molto allarmanti, che lo indussero a partire per l’Illyricum il 29 Maggio: Cupiens itaque augustissima omnium sede morari diutius imperator, ut otio puriore frueretur et uoluptate, adsiduis nuntiis terrebatur et certis, indicantibus Suebos Raetias incursare Quadosque Valeriam et Sarmatas, latrocinandi peritissimum genus, superiorem Moesiam et secundam populari Pannoniam [99] . L’identificazione dei Suebi con gli Alamanni Iuthungi è certa, poiché l’etnonimo Suebi era già sinonimo erudito del nome corrente Alamanni ai tempi di Valentiniano I e di Graziano[100]; anche laHistoria Augusta impiega Suebi per gli Alamanni Iuthungi [101]. Però il contrattacco romano, nonostante la gravità della situazione militare in Raetia II e lungo il medio Danubio, avrebbe ritardato su entrambi i fronti fino all’anno seguente [102], benché Ammiano precisi che Costanzo II iter in Illyricum festinauit [103]. La spedizione di Barbatio in Raetia II è inserita tra il proseguimento delle trattative diplomatiche con i Persiani e il disastroso terremoto, che il 24 Agosto 358 devastò Nicomedia [104]; soltanto per mezzo di un’altra fonte sappiamo che l’ambasceria di Shapur II entrò in Costantinopoli il 23 Febbraio 358 [105]. La connes­sione con i negoziati in Oriente (Inter quae ita ambigua [106]) e il passaggio alla descri­zione della catastrofe naturale (Isdem diebus [107]) producono un singolare risultato: Barbatio fluttua stranamente tra i mesi di Febbraio e di Agosto. Anche il contesto geo­grafico desta profonda perplessità; le spedizioni renane e danubiane della primavera–estate 358 formano un blocco unitario (Amm. XVII, 8–13), mentre la campagna retica di Barbatio viene incastrata in mezzo agli avvenimenti delle province orientali.

La struttura narrativa del libro XVII rispecchia appunto l’esigenza di intorbidare le acque in merito alla successione cronologica delle vicende storiche, per celare la collo­cazione arbitraria e volontariamente erronea della spedizione di Barbatio. Il terremoto di Nicomedia è puntualmente datato al 24 Agosto 358 [108]; le imprese militari e le attività amministrative di Giuliano (tarda estate 357–Gennaio 358, inverno 358, primavera–estate 358) [109], così come le campagne di Costanzo II oltre il medio Danubio (prima­vera–estate 358) [110], ricevono una datazione almeno approssimativa. Il resto del rac­conto vaga entro i confini generici del 358. L’obelisco donato da Costanzo II viene eretto nel Circo Massimo sotto la seconda praefectura Vrbi di Orfitus [111]; il prose­guimento delle trattative diplomatiche con i Persiani ha luogoDatiano et Cereale consulibus [112]. La campagna di Barbatio in Raetia II, come abbiamo visto, si svolge durante i negoziati con i Persiani, ovvero nel periodo del terremoto di Nicomedia; le critiche sprezzanti dei cortigiani di Costanzo II nei confronti di Giuliano per i suoi frequenti annunci di vittorie seguono le spedizioni germaniche del 358[113]. Infine un’altra fase delle trattative diploma­tiche con i Persiani viene condotta nel medesimo periodo delle campagne danubiane [114].

Barbatio ricevette il comando delle operazioni belliche contro gli Alamanni Iuthungi; ciò significa che esse videro la partecipazione dell’ exercitus praesentalis. Questo fatto pone un problema cruciale. Le campagne della primavera–estate 358 oltre il medio Danubio videro i Romani impiegare una massiccia concentrazione di forze militari, che invasero laSarmatia da sud (Pannonia II) e da ovest ( Valeria)[115]; le due colonne, dopo essersi congiunte in barbarico, avanzarono inarrestabili verso nord fino al territorio orientale dei Quadi[116]. I comitatensens illirici, che quasi certamente avevano una consistenza pari all’exercitus praesentalis (come abbiamo detto, 25.000 uomini) e all’exercitus Gallicanus (perlomeno 23.000 uomini nella primavera 361[117] ), potevano formare una sola ganascia dell’offensiva; quindi l’ exercitus praesentalis doveva essere presente a ranghi completi. Le spedizioni transdanubiane di Costanzo II ebbero inizio nella primavera 358; l’imperatore aveva con sé una ualida manus [118]. Ma anche Barbatio guidò una ualida manus contro gli Alamanni Iuthungi [119]. Nell’ambito del 358 c’è un’armata in meno o una campagna in più. La divisione dell’ exercitus praesentalis tra Costanzo II e un suo generale è attestata per la spedizione contro gli Alamanni Lentienses nel 355, quando la maggior parte dei soldati (ualidior manus) seguì il magister equitum praesentalis Arbitio; ma in quell’occasione l’imperatore rimase inattivo [120].

Un termine di paragone per l’approssimativo valore dell’espressione ualida manus in termini numerici è fornito dalla sua occorrenza in relazione all’esercito, che Giuliano lasciò nella Mesopotamia settentrionale sotto il comando dei comites Procopio e Sebastiano [121]; esso contava 30.000 uomini secondo Ammiano [122], mentre altre fonti danno cifre differenti: 20.000 uomini[123], 18.000 uomini[124], 26.000 uomini [125]. Si noti che Ammiano utilizza la locuzione manus ualida anche per l’armata del console Publio Cornelio Scipione nel 218 a.C. [126]; Tito Livio gli attribuisce il comando di 24.200 uomini (due legioni ciascuna forte di 4000pedites e 300 equites, 14.000 pedites e 1600equites dei socii) [127].

Il fittizio discorso di Costanzo II alle truppe dopo la trionfale conclusione delle campagne oltre il medio Danubio contiene due allusioni alla genuina cronologia degli eventi bellici nell’estate 357: dum Italos tueremur et Gallos […] communitis aditibus Raeticis tutelaque peruigili Galliarum securitate fundata [128] . Costanzo qui espone prima le ragioni cogenti, che lo avevano trattenuto lontano dall’Illyricum, poi le condizioni favorevoli, che gli avevano permesso di trasferirsi in Pannonias e di sferrare il con­trattacco contro i barbari transdanubiani [129]; giova ripetere ancora una volta che gli attacchi dei Sarmati e dei Quadi contro le province pannoniche e la Moesia I furono comunicati all’imperatore durante il suo soggiorno a Roma, cioè tra il 28 Aprile e il 29 Maggio 357 [130]. Quindi la protezione degli Itali e dei Galli, così come gli aditus Raetici e la Galliarum securitas, riguardano necessariamente il 357. Non c’è margine di errore o di equivoco: come i Galli e la Galliarum securitas rappresentano la campagna estiva del 357 in Germania I e la vittoria campale di Giuliano presso Argentoratum, così gli Itali e gli aditus Raetici fanno riferimento alla vittoriosa spedizione di Barbatio in Raetia II. Ammiano caratterizza significativamente gli Alamanni Iuthungi appunto comeAlamannorum pars Italicis conterminans tractibus [131].

Giuliano era ancora impegnato nel ripristino di Tres Tabernae, quando Barbatio cominciò la sua marcia verso l’alto Danubio [132]. La battaglia di Argentoratum fu com­battuta intorno al 25 Agosto. Perciò il trasferimento di Barbatio verso la Raetia II deve cadere al più tardi verso la metà di Agosto. La datazione approssimativa della vittoria romana sugli Alamanni Iuthungi richiede di calcolare il tempo necessario all’arrivo dell’exercitus praesentalis nel teatro di guerra sull’alto Danubio.

Per quanto riguarda le vie dell’Occidente romano, in sei casi possiamo constatare che le informazioni stradali di Ammiano e i percorsi dell’ Itinerarium Antonini Augusti coincidono perfettamente nei soli punti di partenza e di arrivo o anche nelle tappe intermedie: 1) la strada dall’Italia nordoccidentale verso la Gallia attraverso leAlpes Cottiae (Segusio, statio Martis, Brigantia)[133]; 2) l’aduentus di Costanzo II da Medio­lanum a Roma (Ocriculum) [134]; 3) i tragitti di Giuliano nel 355–356 da Mediolanum a Vienna e da Vienna a Remi (Ticinum, Laumellum, Taurini, Vienna, Augustodunum, Sedelacum, Autessiodurum, Tricasses)[135]; 4) lo spostamento di Barbatio dall’Italia settentrionale a Rauraci[136]; 5) il ritorno del magister equitum per Gallias Seuerus da Colonia Agrippina a Remi (Iuliacum)[137]; 6) il percorso di Graziano dalla Raetia I al Noricum ripense (Arbor Felix, Lauriacum) [138].

Pertanto possiamo utililizzare i dati dell’ Itinerarium Antonini Augusti, per rico­struire plausibilmente le tappe del magister peditum Barbatio e dell’exercitus praesen­talis dalla Gallia sudorientale fino inRaetia II: Argentoratum, Heluetum, mons Brisiacus, Urunci, Arialbinnum (ovvero Argentouaria, Stabula, Cambete), Rauraci, Vindonissa, Vitudurum, Ad Fines, Arbor Felix, Brigantium, Vemania, Cambodunum, Caelius mons, Guntia, Augusta Vindelicum [139]. Ammiano registra in forma distorta il passaggio di Barbatio a Rauraci [140]. Il tragitto da Argentoratum ad Augusta Vindelicum contava 347 ovvero 342,5 miglia [141]; l’una o l’altra distanza poteva essere percorsa circa in 17 giorni a marce continue di 20 miglia quotidiane[142], ovvero circa in 23 giorni, se le truppe avessero alternato tre giorni continui di marcia con uno di riposo [143]. Barbatio raggiunse la sua meta verso la fine di Agosto o all’inizio di Settembre.

Costanzo II dopo la partenza da Roma il 29 Maggioper Tridentum iter in Illyricum festinauit [144]; ma soltanto il 18 Dicembre l’imperatore è sicuramente attestato a Sirmium [145], dove egli rimase fino alla primavera 358, quando le colonne romane attra­versarono il medio Danubio e invasero la Sarmatia [146]. Finora nessuno ha notato lo strano itinerario di Costanzo II e la prolungata marginalizzazione della sua figura sulla scena narrativa dalla tarda primavera 357 alla primavera 358. Ammiano, prima delle campagne oltre il medio Danubio, menziona l’imperatore soltanto in relazione a quattro circostanze, di cui tre possiedono valore meramente accessorio o sono volte a finalità denigratorie: il suo incontro con Ursicinus presso Sirmium, la sua lontananza dalla battaglia di Argentoratum, l’erezione dell’obelisco nel Circo Massimo e lo scambio epistolare con Shapur II nell’ambito delle trattative diplomatiche con i Persiani [147].

Lo spostamento diretto del comitatus dall’Italia settentrionale nell’Illyricum passava necessariamente per Aquileia; ciò risulta dalla costante presenza della città in quattro tragitti alternativi dall’Italia nordorientale all’Illyricum [148]. Il passaggio per Aquileia è implicitamente attestato anche da Ausonio, che menziona appunto l’attra­versamento della Venetia immaginando il ritorno di Graziano dall’Illyricum orientale a Treueri [149]. Pieter de Jonge, seguendo fedelmente la versione ammianea dei fatti e della cronologia, ha fornito una ricostruzione molto singolare dell’iter; Costanzo, dopo essere giunto ad Atria da Rauenna, avrebbe fatto una deviazione inspiegabile verso nord-ovest (Patauium, Verona, Tridentum), per poi volgere le insegne a sud-est (Ausucum, Feltria, Opitergium) e tornare sulla strada normale (Concordia, Aquileia) [150].

Per risolvere questo dilemma e dare un senso pratico al bizzarroiter di Costanzo II, dobbiamo usare ancora l’ Itinerarium Antonini Augusti. È molto probabile che Costanzo dall’Urbe sia temporaneamente ritornato a Mediolanum; questa ipotesi sembra suf­fragata dalla subscriptio di una legge, che risulta essere stata emanata là il 24 Giugno 357 [151]. Ammiano afferma che l’imperatore, benché fosse ab Argentorato […] mansione quadragesima disparatus, si sarebbe vantato di avere preso personalmente parte alla battaglia e di esserne stato il protagonista [152].

Qui il significato di mansio ha valore fondamentale. L’accezione tecnica del voca­bolo è sicuramente esclusa; neppure il viaggio da Aquileia a Costantinopoli annoverava 40 mansiones in senso stretto, ma ne comprendeva appena 31[153]. Semansio designava soltanto le tappe principali, cioè lemansiones propriamente dette e le città o i castra, le 40 mansiones potrebbero essere un veniale arrotondamento per eccesso e attestare che Costanzo, quando Giuliano vinse gli Alamanni ad Argentoratum, già risiedeva a Sirmium; infatti il percorso per mediterranea loca da Sirmium ad Argentoratum pre­vedeva 36 tappe[154]. Ma c’è una terza alternativa, che rapporta il significato di mansio al contesto narrativo. Ammiano chiude il capitolo dedicato ad Argentoratum inserendo una lunga serie di critiche feroci nei confronti di Costanzo [155]. Lo storiografo, per aggravare il peso delle sue accuse contro la vanagloria dell’imperatore, incluse sia le città e i castra sia lemutationes nelle 40 mansiones; l’uso elastico del terminemansio trova un valido parallelo nell’ Itinerarium Burdigalense, dove l’anonimo autore, quando riepiloga la lunghezza totale dei tragitti e il numero complessivo delle tappe, chiama indistintamente mutationes tutte le località di sosta. Il percorso da Arelate a Medio­lanum attraversa 471 ovvero 468 miglia e 44 mutationes; il tratto da Aquileia a Sirmium conta 411 miglia per 39 mutationes[156]. Le 40 mansiones di Ammiano coincidono per­fettamente con le 422 miglia della strada da Mediolanum ad Argentoratum attraverso leAlpes Poeninae [157].

Costanzo II partì da Roma il 29 Maggio[158]. La velocità del comitatus in circostanze speciali può essere desunta dai dettagli di Ammiano circa l’elezione di Valentiniano I ad Augustus e il suo spostamento itineribus citis da Nicaea a Nicomedia, che erano separate da una distanza di 44 miglia [159]. La cerimonia ebbe luogo il 25 Febbraio[160]; il comitatus partì da Nicaea il 27 Febbraio e il 1 Marzo Valentiniano era già a Nico­media[161] . C’era una distanza di 427 miglia da Roma a Mediolanum [162]. Costanzo può avere raggiunto Mediolanum in 21 o 22 giorni, cioè entro il 19 Giugno; tale data è pienamente compatibile con la legge del 24 Giugno.

Il soggiorno temporaneo di Costanzo a Mediolanum è connesso con la campagna di Barbatio in Germania I; Libanio, come abbiamo visto, attesta che fu lo stesso impera­tore a mutare il piano originario [163]. Costanzo allora doveva risiedere in una città, che permettesse celeri comunicazioni con la parte meridionale della provincia renana; egli, anche se già era vivamente allarmato dalla crisi militare in Raetia II, attese paziente­mente l’evoluzione delle operazioni belliche in Germania I, prima di richiamare Barbatio e di inviarlo contro gli Alamanni Iuthungi. Le insinuazioni di Libanio e di Ammiano, viste sotto questa luce, appaiono ancora più gratuite e velenose.

Costanzo da Mediolanum raggiunse Tridentum passando per Verona [164]. La men­zione ammianea di Tridentum è aperta a due interpretazioni. L’imperatore, per seguire da vicino la cruciale spedizione di Barbatio in Raetia II, fece una deviazione compa­tibile con il successivo proseguimento della sua marcia verso l’Illyricum; Tridentum era la località più adatta a entrambi gli scopi. In questo caso l’anomala tappa a Tri­dentum acquisisce un senso fortemente pratico, come la precedente sosta a Medio­lanum; de Jonge, restando fedele alla cronologia vulgata della campagna di Barbatio contro gli Iuthungi, non poté cogliere questo dettaglio, che contribuisce a confutare la datazione ammianea dell’evento. Altrimenti l’attraversamento di Tridentum potrebbe indurre a ipotizzare che l’imperatore, prima di trasferirsi con il comitatus nell’Illyricum, abbia raggiunto Barbatio e l’exercitus praesentalis in Raetia II; Tridentum infatti sor­geva sulla via diretta da Verona ad Augusta Vindelicum [165]. Il passo del Brennero, a differenza delle altre strade attraverso il tratto retico delle Alpi, era transitabile anche durante l’autunno [166]. Due semplici fatti consigliano di accantonare tale soluzione. 205 miglia in terreno montuoso separavano Tridentum da Augusta Vindelicum e il mal­tempo autunnale incombeva o era già cominciato; dopo la vittoria romana sugli Iuthungi la priorità strategica di Costanzo era non riunirsi con l’ exercitus praesentalis, ma raggiungere il medio Danubio al più presto.

Una sola battaglia fu sufficiente ad annichilire gli Alamanni Iuthungi [167]. Ma la spedizione di Barbatio in Raetia II, dove egli giunse verso fine Agosto o inizio Settem­bre, occupò perlomeno l’intero mese di Settembre e forse durò fino al principio di Ottobre. Il plurale oppida di Ammiano suggerisce che l’attacco degli Iuthungi abbia investito tutta la parte settentrionale della Raetia II o addirittura l’intera provincia fino a Veldidena; la protezione degli Itali e la difesa degli aditus Raetici rivendicate da Costanzo II corroborano la plausibile congettura che le bande degli Iuthungi siano giunte pericolosamente vicine al Brennero [168]. Da questo punto di vista la presenza di Costanzo a Tridentum assume un’ulteriore valenza in relazione con l’invasione degli Iuthungi; egli intendeva non soltanto seguire da vicino l’andamento della spedizione, ma anche bloccare preventivamente la principale via di accesso all’Italia nord­orientale [169]. L’eliminazione delle bande minori e le operazioni preliminari allo scontro campale con il corpo principale degli invasori germanici, così come il rastrellamento sistematico del territorio provinciale e l’espulsione dei pochi superstiti oltre il Danubio[170], consumarono almeno un mese; se teniamo conto dei preparativi logistici per la marcia verso l’Illyricum, Barbatio poté lasciare la Raetia II tra la metà e la fine di Ottobre.

La durata minima di un mese per la campagna militare contro gli Iuthungi non è un’ipotesi gratuita, ma è validamente suffragata da Ammiano stesso. Nella primavera 358 Giuliano, per avere anche il tempo di invadere e di domare i pagi degli Alamanni a sud del basso Moenus, anticipò abbondantemente il consueto inizio dei Gallicani pro­cinctus nel mese di Luglio[171], stimando di potere completare le due expeditiones contro Franchi Salii e Chamavi intra mensem quintum uel sextum [172], cioè entro Maggio o Giugno[173]. La conclusione molto tarda della campagna precedente, che si era protratta fino a Gennaio[174], impedisce che l’exercitus Gallicanus abbia mosso le insegne prima dell’Aprile 358. Le previsioni di Giuliano si mostrarono esatte; infatti al termine delle operazioni militari nel delta renano le messi dei Chamavi non erano ancora mature[175]. Quindi due expeditiones nella regione nordorientale della Germania II durarono com­plessivamente un paio di mesi.

Dopo la fine dei combattimenti in Raetia II l’imperatore e il suomagister peditum percorsero due diverse strade verso gli hiberna di Sirmium. Costanzo, dopo avere rag­giunto Aquileia da Tridentum (180 miglia [176]), seguì il normale tragitto verso Sirmium lungo la valle del Drauus (401 ovvero 411 miglia) [177], ovvero lungo la valle del Sauus (411 miglia) [178]. Barbatio, muovendo dalla Raetia II, potè pervenire a Sirmium per ripam (773 miglia)[179], ovveroper mediterranea loca (653 miglia) [180]. In quel periodo dell’anno la strada per mediterranea loca era la scelta più logica; invece il percorso per ripam, anche se era molto più lungo, risultava conveniente in primavera o estate, quando una parte delle truppe poteva essere imbarcata e trasportata sulle navi delleclasses fluviali, come Graziano fece nel 378 [181]. Costanzo probabilmente si ricongiunse con Barbatio poco prima del suo ingresso in Sirmium, poiché il tragitto per mediter­ranea loca coincideva con la strada del Drauus a Mursa e con la strada del Sauus a Cibalae. Perlomeno un mese o un mese e mezzo fu necessario a entrambi gli itinera. Quando l’imperatore e l’exercitus praesentalis arrivarono in Pannonia II, la stagione ormai era troppo avanzata e le truppe erano sfibrate dalle lunghe marce; tali circostanze spiegano bene perché Costanzo abbia procrastinato la controffensiva romana oltre il medio Danubio fino alla primavera seguente.

Pedro A. Barceló attribuisce speciale importanza alla spedizione contro gli Alamanni Iuthungi in Raetia II; egli infatti ritiene che la vittoria di Barbatio abbia stroncato un tentativo germanico di occupare permanentemente parte della provincia [182]. Questa ipotesi è persuasiva e appare molto verosimile. Io preferisco richiamare l’atten­zione su un altro dettaglio. Il violento attacco degli Iuthungi nella primavera 357 aprì una momentanea crisi nel settore dell’alto Danubio proprio per il carattere inatteso della minaccia bellica; Ammiano attesta a chiare lettere che fino a quell’occasione un foedus aveva garantito la sicurezza e la pace della Raetia II [183]. Forse la deprimente povertà o le condizioni frammentarie delle fonti storiografiche sulla prima metà del IV secolo ci sottraggono informazioni determinanti circa la storia militare della Raetia II in quei decenni. Ma allo stato attuale delle nostre conoscenze un fatto è certo e aiuta a com­prendere meglio le valutazioni strategiche di Costanzo II.

L’ultima guerra con gli Iuthungi risaliva al 288, quando Diocleziano stesso aveva sonoramente battuto questa Alamannorum pars nel suo territorio e aveva definitiva­mente ripristinato il Raeticus limes[184]. Se il foedus degli Iuthungi con l’impero romano risaliva a un evento così lontano, allora l’invasione della primavera 357 dové colpire i provinciali retici e il governo imperiale come un fulmine a cielo sereno; il Raeticus limes, che proteggeva gli accessi dall’alto Danubio verso l’Italia settentrionale, era stato violato dopo 69 anni di pace, proprio mentre le falle dei limites renani erano ancora aperte e il grosso dei comitatenses era concentrato in Gallia. I dati della Notitia Digni­tatum sono assai più tardi, ma è molto probabile che la distribuzione delle forze militari verso la metà del IV secolo rispecchiasse perlomeno le medesime proporzioni. Le robuste guarnigioni dei ripenses dislocati sul medio Danubio garantivano una bastevole protezione contro le normali incursioni [185], come Ammiano stesso sottolinea per bocca di Costanzo II al termine delle campagne transdanubiane[186]; invece il dux Raetiae aveva a sua disposizione un esercito estremamente debole, che conferma la lunga sicurezza e l’usuale tranquillità del Raeticus limes nel corso del IV secolo: due reggimenti di equites Stablesiani (uno diviso in due parti), tre distaccamenti della III Italica in prima linea, due nell’interno addetti esclusivamente al trasporto delle speciesannonariae, un reparto di milites, una gens, un numerus barcariorum, tre alae e sette cohortes [187]. Tale situazione giustifica la scelta di Costanzo, che saggiamente interruppe la fallimentare campagna in Germania I e diede la priorità alla difesa della Raetia II anche nei con­fronti del medio Danubio; egli non era un Traiano o un Marco Aurelio, ma fu talora capace di fare bene il suo mestiere di imperatore.

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Maurizio Colombo

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[1] Amm. XVI, 11, 1–3.

[2] Amm. XVI, 11, 1–2 e 9.

[3] Amm. XVI, 11, 6–8 e 12–15.

[4] Lib. Or. 18, 50.

[5] J. F. Drinkwater, Barbatio’s Bridge. The Alamannic Campaign of 357, in: J. F. Drink­water, B. Salway (eds.), Wolf Liebeschuetz reflected. Essays presented by colleagues, friends, & pupils (BICS Suppl. 91), London 2007, 115–123 e id., The Alamanni and Rome 213–496 (Caracalla to Clovis), Oxford, New York 2007, 228–235; D. Woods, Ammianus versus Libanius on Barbatio’s Alleged Bridge across the Rhine , Mnemosyne 63 (2010) 110–116.

[6] Amm. XVI, 11, 7 e 12–13.

[7] In tale senso già K. Rosen, Studien zur Darstellungskunst und Glaubwürdigkeit des Ammianus Marcellinus , Bonn 1970, 84–95. Cfr. anche S. Lorenz, Imperii fines erunt intacti. Rom und die Alamannen 350–378 , Frankfurt am Main 1997, 40–42.

[8] Amm. XIV, 11, 19–20 e XVIII, 3, 6.

[9] Amm. XV, 5, 15–17 e 24–31.

[10] Amm. XVI, 11, 2 e XVII, 6, 2.

[11] Amm. XVII, 6, 1–2.

[12] Amm. XVIII, 3, 1–4.

[13] R. C. Blockley, Ammianus Marcellinus. A Study of his Historiography and Political Thought (Coll. Latomus 141), Bruxelles 1975, 38–41 e 49–51.

[14] Amm. XIV, 11, 2; XV, 2, 4. 3, 2. 4, 7–10. 5, 2. 5, 8; XVI, 6; XX, 2, 2–5; XXI, 13, 16; XXII, 3, 9.

[15] Amm. XVIII, 5, 5 e XX, 2, 1.

[16] Amm. XIV, 10, 7–8; XX, 2, 5; XXVI, 7, 4 e 9, 7.

[17] Amm. XIV, 11, 19–20 e 24.

[18] Amm. XVII, 6, 2. Cfr. invece Lib. Or. 18, 49 ἡγεμόνα δοκοῦντα ἐπίστασθαι δυνάμει χρῆσθαι. Si rammenti che Barbatio, prima di cadere in disgrazia e di essere giustiziato, aveva ricevuto quattro lettere dal retore antiocheno, che lo elogiava quale competente e vittorioso generale (Lib. Epist. 436; 491; 556; 576).

[19] Amm. XVI, 11, 7.

[20] Le eccezioni sono pochissime e molto significative: Serenianusex duce Phoenices presso Gallo Caesar, poi il cubicularius Gorgonius e Arbitio alla corte di Costanzo II (Amm. XIV, 7, 7; XV, 2, 10; XVI, 6).

[21] Amm. XIV, 11, 24 e XVIII, 3, 6.

[22] Amm. XVIII, 3, 6.

[23] Amm. XIV, 11, 24 e XVIII, 3, 6.

[24] Amm. XVI, 11, 7 e 15; XVIII, 3, 6.

[25] A. Nagl, Valentinianus I, RE 7A, 2 (1948) 2159–2160; PLRE I, Valentinianus 7, 933–934; A. Demandt, Die Spätantike. Römische Geschichte von Diocletian bis Justinian 284–565 n. Chr. , München 1989, 111; Lorenz, Imperii (n. 7) 40; N. Lenski, Were Valentinian, Valens and Jovian Confessors before Julian the Apostate? , ZAC 6 (2002) 253–276; Drinkwater, Alamanni (n. 5) 233; J. den Boeft, J. W. Drijvers, D. den Hengst, H. C. Teitler, Philological and Historical Commentary on Ammianus Marcellinus XXVI , Leiden, Boston 2008, 21–22. D. Woods, A Note Concerning the Early Career of Valentinian I, AncSoc 26 (1995) 273–288 e id., Valens, Valen­tinian I, and the Iouiani Cornuti, in: C. Deroux (ed.), Studies in Latin literature and Roman history IX (Coll. Latomus 244), Bruxelles 1998, 462–486 travisa le fonti e giunge a strane conclusioni.

[26] M. Colombo, La carriera militare di Valentiniano I. Studio letterario e documentario di prosopografia tardoantica , Latomus 68 (2009) 997–1013.

[27] Qui il codex Fuldensis (V) legge neco . . . . inanti, che Seyfarth stampa fedelmente; Clark invece preferisce sanare almeno parzialmente la lacuna, nec co<natus> . . . . anti. L’integrazione da me proposta si basa su ad exsequendum id ordinati di Amm. XVI, 11, 6.

[28] Ad esempio, cfr. Drinkwater, Alamanni (n. 5) 233, che inoltre riscrive liberamente l’intero passo, per adattarlo alla sua tesi.

[29] Si ricordi che le Res Gestae sostituiscono quasi sempre il termine tecnico uexillatio equitum con vari sinonimi di matrice letteraria; la sola eccezione è Amm. XXV, 1, 9.

[30] Iul. Epist. ad Athen. 280 D: cfr. Lib. Or. 12, 58 e Zos. III, 8, 3–4. Per questa ipotesi cfr. Colombo, La carriera (n. 26) 1006–1007.

[31] Amm. XVI, 12, 2.

[32] Vedi n. 117.

[33] Amm. XVI, 12, 7.

[34] Amm. XVI, 2, 5–6 documenta la scarsa efficacia deicataphractarii in simili circostanze. Il successo dei cataphractarii contro i Sassoni nel 370 fu dovuto alla differenza delle circostanze tattiche e all’azione combinata con la fanteria romana (Amm. XXVIII, 5, 5–7).

[35] Colombo, La carriera (n. 26) 1003–1006.

[36] Amm. XVII, 10, 5.

[37] Colombo, La carriera (n. 26) 1005 n. 42 erra a ritenere Agilo (Amm. XX, 2, 5) il supplente di Bainobaudes alla testa della schola I o II Scutariorum; egli svolgeva sicuramente tale compito, ma sostituiva Nestica.

[38] Amm. XVI, 10, 21. 11, 1. 12, 27; XVII, 2, 1. 8, 4. 10, 1.

[39] Amm. XVII, 10, 2 allude all’imminente morte di Seuerus.

[40] Amm. XVIII, 2, 7.

[41] Amm. XX, 4, 21: per la questione del nome cfr. J. Szidat, Zu Ammian 20, 4, 21: Excubitor nomine, Chiron 5 (1975) 493–494; J. den Boeft, D. den Hengst, H. C. Teitler, Philological and Historical Commentary on Ammianus Marcellinus XX , Groningen 1987, 107–108.

[42] Amm. XXI, 8, 1.

[43] Amm. XVII, 6, 3.

[44] Amm. XXI, 8, 1 e 10, 2.

[45] Amm. XVI, 11, 7.

[46] Amm. XVI, 7, 4; XX, 10, 1; XXII, 3, 7 e 10, 2; XXV, 1, 8; XXVII, 12, 10; XXX, 8, 11; XXXI, 15, 15.

[47] Amm. XVI, 6, 1; XIX, 12, 15; XXII, 9, 10; XXVIII, 1, 21; XXIX, 1, 25; XXX, 1, 23.

[48] ThlL II, 552, 3–21 e 553, 61–554, 17.

[49] Amm. XVI, 7, 4; XIX, 12, 15; XXII, 10, 2; XXV, 1, 8; XXVIII, 1, 21; XXX, 1, 23.

[50] Amm. XXVII, 12, 10; XXIX, 1, 25; XXXI, 15, 15.

[51] Amm. XX, 10, 1 e XXII, 3, 7.

[52] Amm. XVI, 6, 1.

[53] Amm. XXII, 9, 10.

[54] Amm. XXX, 8, 11: ThlL II, 552, 20–21 interpreta erroneamente questa costruzione come uso assoluto del verbo.

[55] Amm. XIX, 11, 16.

[56] Amm. XVIII, 3, 5.

[57] R. J. A. Talbert (ed.), Barrington Atlas of the Greek and Roman World, Princeton, Oxford 2000, mappe 11 e 18. La mia ricostruzione è ovviamente fondata su dati e conoscenze suscettibili di miglioramenti o di confutazioni tramite nuove scoperte in campo archeologico.

[58] Drinkwater, Alamanni (n. 5) 229–231 esprime la sorprendente convinzione che Barbatio abbia risalito la riva destra del Reno; ma tale teoria non trova nessun riscontro nelle fonti antiche.

[59] Amm. XX, 8, 13.

[60] Auson. Mos. 5–11.

[61] Not. Dign. Occ. 42, 34–36. 42. 44. 65–69: il nome dell’ultimo insediamento (70) è mutilo.

[62] Pan. Lat. VIII, 8, 4–9, 4 e 21, 1; VII, 4, 2; VI, 5, 3 e 6, 2 Mynors.

[63] Amm. XVI, 2, 1.

[64] Amm. XVI, 2, 12.

[65] Amm. XVI, 2, 5–7.

[66] Itin. Anton. Aug. 354, 1 e 386, 4–5, che deve essere corretto con B. Löhberg, Das “Itinerarium provinciarum Antonini Augusti”. Ein kaiserzeitliches Straßenverzeichnis des Römischen Reiches. Überlieferung, Strecken, Kommentare, Karten I , Berlin 2006, 267 e 286.

[67] Amm. XVI, 11, 4–6.

[68] Amm. XVI, 11, 9–10.

[69] Amm. XVI, 11, 11–12.

[70] Amm. XVI, 11, 3.

[71] Amm. XVI, 11, 14 Barbationem cum exercitum quem regebat, ut praedictum est, Gallico uallo discretum . L’uso di uallum come sinonimo di exercitus compare già nel § 6, cui l’espres­sione ut praedictum est rinvia esplicitamente; la parola assume valore metonimico di castra in tre passi: Amm. XXII, 4, 8; XXXI, 3, 5 e 15, 5.

[72] Lib. Or. 18, 49.

[73] Lib. Or. 18, 50. Questo particolare sfugge stranamente a Drinkwater, Alamanni (n. 5) 233.

[74] Amm. XVII, 8, 1.

[75] Amm. XVI, 2, 2 e Cassiod. Var. I, 24, 1–2.

[76] Iul. Epist. ad Athen. 278 D.

[77] Amm. XVI, 11, 9.

[78] Amm. XVI, 11, 11. 11, 14. 12, 19.

[79] Varro, rust. I, 32, 1; Colum. II, 20, 1 e IX, 14, 5. Cfr. anche Pallad. VIII, 1 (Luglio).

[80] Colum. XI, 2, 54 e 57.

[81] Amm. XVI, 12, 11.

[82] C. Jullian, Histoire de la Gaule VII, Paris 1926, 194 n. 4.

[83] Lorenz, Imperii (n. 7) 48 n. 160, che però fraintende totalmente il senso della frase ammianea nox senescente luna nullis sideribus adiuuanda (“zwischen dem Untergang der Sonne und dem Aufgang des Mondes geraume Zeit verstrichen sein müsse”); qui Ammiano intende dire “una notte, che per la fase calante della luna non sarà rischiarata da nessuna stella”, cioè “una notte quasi priva di luce” .

[84] Amm. XVI, 11, 11. 11, 14. 12, 3.

[85] Amm. XVI, 11, 8.

[86] Rosen, Studien (n. 7) 90–91.

[87] Lib. Or. 18, 51.

[88] Amm. XVI, 12, 1 Quo dispalato foedo terrore. 12, 2 post ducis fugati discessum. 12, 5recens quoque fuga ducis […] numero praestantis et uiribus. 12, 6eos milites permisisse paucis suorum latronibus terram […]digresso periculi socio. 12, 16 turpissimus ducis Romani digres­sus.

[89] Amm. XVI, 11, 14 e 12, 6.

[90] Ad esempio, cfr. Lorenz, Imperii (n. 7) 42; Drinkwater, Alamanni (n. 5) 234–235.

[91] Amm. XVI, 12, 14.

[92] Vedi nn. 98–99.

[93] Amm. XVII, 6, 1.

[94] Amm. XVI, 11, 14 e 12, 6.

[95] PLRE I, Barbatio; P. de Jonge, Philological and Historical Commentary on Ammianus Marcellinus XVII , Groningen 1977, 168; Lorenz, Imperii (n. 7) 53; P. A. Barceló, Roms aus­wärtige Beziehungen unter der Constantinischen Dynastie (306–363) , Regensburg 1981, 60 e 184–185 n. 248; id.,Constantius II. und seine Zeit. Die Anfänge des Staatskirchentums, Stuttgart 2004, 150 e 239 n. 18; id., Der Juthungeneinfall des Jahres 358: Plünderungszug oder Migra­tionsbewegung? , in: U. Fellmeth, P. Guyot, H. Sonnabend (eds.), Historische Geographie der alten Welt: Grundlagen, Erträge, Perspektiven. Festgabe für E. Olshausen aus Anlass seiner Emeritierung (Spudasmata 114), Hildesheim, Zürich, New York 2007, 5–6; Drinkwater, Alamanni (n. 5) 242.

[96] O. Seeck, Zur Chronologie und Quellenkritik des Ammianus Marcellinus , Hermes 41 (1906) 505.

[97] G. Sabbah, La méthode d’Ammien Marcellin. Recherches sur la construction du discours historique dans les Res Gestae , Paris 1978, 227–228 e n. 29.

[98] Cons. Const. ad a. 357, 2 = Chron. Min. I, 239 Mommsen.

[99] Amm. XVI, 10, 20.

[100] Auson. Epigr. 3 (4 Schenkl, 28 Peiper e Prete), 7–8 e 4 (5 Schenkl, 31 Peiper e Prete), 3 Green; Prec. cons. des. 29–30. Cfr. anche Claud. In Eutr. I, 380 e 394; De cons. Stil. I, 190. Tab. Peut. segm. II, 3–III, 1 delimita il territorio degli Alamanni giustapponendo significativamente i nomi geografici dei due sinonimi, cioèSueuia (= Suebia) per la parte settentrionale e Alamannia per la regione meridionale.

[101] HA, Aurel. 18, 2 e 33, 4. G. Neumann, D. Geuenich, Iuthungen, RGA 16 (2000) 141–143 trascurano il pregnante uso dell’etnonimo generico Suebi tanto per gli Alamanni quanto per gli Iuthungi.

[102] Amm. XVII, 6 e 12–13.

[103] Amm. XVI, 10, 20.

[104] Amm. XVII, 5 (cfr. XVI, 9) e 7, 1–8.

[105] Cons. Const. ad a. 358, 1 = Chron. Min. I, 239 Mommsen.

[106] Amm. XVII, 6, 1.

[107] Amm. XVII, 7, 1.

[108] Amm. XVII, 7, 2: cfr. Cons. Const. ad a. 358, 2 = Chron. Min. I, 239 Mommsen.

[109] Amm. XVII, 1–2 (tarda estate 357–Gennaio 358, Giuliano prosegue la campagna contro gli Alamanni del Reno superiore e cattura una banda di Franchi); 3 (le attività amministrative di Giuliano durante gli hiberna del 358); 8–10 (primavera–estate 358, le spedizioni di Giuliano contro Franchi Salii, Chamavi e Alamanni).

[110] Amm. XVII, 12–13. Le coordinate cronologiche: Amm. XVII, 12, 4Aequinoctio itaque uerni temporis confecto e 13, 28 uere adulto; XIX, 11, 2 aestate nuper emensa.

[111] Amm. XVII, 4, 1: cfr. Cod. Theod. VIII, 13, 4 (23 Giugno 358) e XIV, 6, 1 (25 Marzo 359).

[112] Amm. XVII, 5, 1.

[113] Amm. XVII, 11, 1.

[114] Amm. XVII, 14, 1.

[115] Amm. XVII, 12, 4 e 6. de Jonge, Commentary (n. 95) 291 interpreta Amm. XVII, 12, 7 nel senso che le truppe romane sarebbero avanzate agmine tripertito: ma sembra più probabile che il complemento di modo descriva la manovra offensiva dei Sarmati contro le due colonne romane.

[116] Amm. XVII, 12, 9 e 12 (cfr. 21 His in barbarico gestis).

[117] Zos. III, 10, 2.

[118] Amm. XVII, 12, 4.

[119] Amm. XVII, 6, 2.

[120] Amm. XV, 4, 1.

[121] Amm. XXVI, 6, 2.

[122] Amm. XXIII, 3, 5.

[123] Lib. Or. 18, 214.

[124] Zos. III, 12, 5.

[125] Ioh. Mal. XIII, 21 (Thurn 253) = 329 Dindorf: 16.000 uomini con Procopio e Sebastiano a Nisibis, altri 10.000 a Circesium.

[126] Amm. XV, 10, 10.

[127] Liv. XXI, 17, 5 e 8.

[128] Amm. XVII, 13, 27–28.

[129] Amm. XVII, 13, 26–28.

[130] Vedi nn. 98–99.

[131] Si noti che Amm. XV, 4, 1 (l’introduzione alla campagna del magister equitum praesen­talis Arbitio contro gli Alamanni Lentienses nel 355) non contiene nessun cenno al territorio italico.

[132] Amm. XVI, 11, 11 e 14.

[133] Amm. XV, 10, 3 e 6–7 ~ Itin. Anton. Aug. 341, 3–5 (cfr. anche Itin. Burdig. 555, 11–556, 4).

[134] Amm. XVI, 10, 4 ~ Itin. Anton. Aug. 124, 8–126, 4 + 126, 10–127, 9.

[135] Amm. XV, 8, 18 e 21 + XVI, 1, 1 e 2, 1–8 ~ Itin. Anton. Aug. 356, 1–4 e 356, 8–362, 1.

[136] Amm. XVI, 11, 2 ~ Itin. Anton. Aug. 350, 4–353, 3.

[137] Amm. XVII, 2, 1 ~ Itin. Anton. Aug. 378, 1–8 + 380, 7–381, 6.

[138] Amm. XXXI, 10, 20 ~ Itin. Anton. Aug. 235, 1–237, 5 ovvero 249, 1–251, 3.

[139] Itin. Anton. Aug. 250, 6–252, 5 ovvero 250, 6–251, 7 + 354, 1–354, 5.

[140] Amm. XVI, 11, 14.

[141] Löhberg, Itinerarium (n. 66) 207–208 e 267.

[142] Amm. XVI, 12, 8 (21 miglia: cfr. Veg. mil. I, 9, 3) costituisce il solo termine di riferi­mento per la normale distanza delle marce quotidiane in territorio romano durante il IV secolo.

[143] Ambr. in psalm. 118 serm. 5, 2 = PL XV, 1251.

[144] Amm. XVI, 10, 20.

[145] Cod. Theod. VII, 4, 3.

[146] Amm. XVII, 12, 1 e 4; le indicazioni cronologiche di Amm. XVII, 12, 4 Aequinoctio itaque temporis uerni confecto e 13, 28uere adulto sembrano più attendibili diCod. Theod. XII, 1, 44 data XI kal. Iun. Sirmio Datiano et Cereale coss (22 Maggio 358).

[147] Amm. XVI, 10, 21 e 12, 70; XVII, 4, 12 e 5, 2.

[148] Itin. Anton. Aug. 128, 6–131, 4; 128, 7–129, 2 + 259, 11–261, 3; 272, 8–274, 7; 276, 1–277, 3 (cfr. anche Itin. Burdig. 557, 10–563, 9).

[149] Auson. Grat. act. 82.

[150] P. de Jonge, Philological and Historical Commentary on Ammianus Marcellinus XVI , Groningen 1972, 143.

[151] Cod. Theod. VIII, 5, 8: l’anno viene comunemente corretto in 356.

[152] Amm. XVI, 12, 70.

[153] Itin. Burdig. 560, 5–570, 7.

[154] Itin. Anton. Aug. 232, 4–239, 2.

[155] Amm. XVI, 12, 67–70.

[156] Itin. Burdig. 553, 3–557, 10 e 559, 14–563, 7 con le annotazioni di O. Cuntz, Itineraria Romana, I, Stutgardiae 1929, 88–89.

[157] Itin. Anton. Aug. 350, 6–354, 5, che deve essere corretto con Löhberg,Itinerarium (n. 66) 267. Le 21 tappe, rispetto alle 40 mansiones di Ammiano, trovano riscontro tanto nelle 17 tappe di Itin. Anton. Aug. 128,7–131, 439 da Aquileia a Sirmium contro le 39 tappe dell’Itinerarium Burdigalense lungo la medesima strada (vedi n. precedente), quanto nelle 18 tappe di Itin. Anton. Aug. 356, 8–358, 2 da Mediolanum a Valentia attraverso le Alpes Cottiae contro le 33 tappe di Itin. Burdig. 554, 4–557, 10 lungo lo stesso tragitto.

[158] Vedi n. 99.

[159] Itin. Anton. Aug. 140, 3–141, 1.

[160] Amm. XXVI, 1, 5–7 e 2, 1–2; Socr. IV, 1, 1 (GCS N. F. 1) = PG LXVII, 464 τῇ πέμπτῃ καὶ εἰκάδι τοῦ αὐτοῦ Φεβρουαρίου μηνός. Ma cfr. O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen Kaiserzeit , Stuttgart 1919, 214 e PLRE I, Valentinianus 7: 26 Febbraio.

[161] Amm. XXVI, 4, 1–2.

[162] Itin. Anton. Aug. 124, 8–126, 4 + 126, 10–127, 9, che deve essere corretto con Löhberg, Itinerarium (n. 66) 134.

[163] Vedi n. 73.

[164] Itin. Anton. Aug. 126, 10–128, 1 + 275, 7–9.

[165] Itin. Anton. Aug. 274, 8–275, 9, che deve essere corretto con Löhberg, Itinerarium (n. 66) 224.

[166] H. Nissen, Italische Landeskunde I, Berlin 1883, 160–164.

[167] Amm. XVII, 6, 3.

[168] Contra Barceló, Constantius (n. 95) 150 e id., Juthungeneinfall (n. 95) 6, che individua l’epicentro dell’invasione e dei combattimenti nella regione di Castra Regina.

[169] Amm. XVI, 10, 4 e 8 registra la presenza di truppe scelte al seguito dell’imperatore durante il suo aduentus a Roma.

[170] Amm. XVII, 6, 2 exigua portio [...] aegre dilapsa .

[171] Vedi nn. 74–75.

[172] Amm. XVII, 8, 1–2.

[173] Contra de Jonge (n. 95) 222. Ma cfr. ibid., 217: Giuliano affrontò Franchi Salii, Chamavi e Alamanni nel periodo “May–August 358”.

[174] Amm. XVII, 2, 2.

[175] Amm. XVII, 9, 2–3. Per la stagione della mietitura vedi nn. 79–80.

[176] Itin. Anton. Aug. 280, 6–281, 1 (110 miglia da Tridentum a Opitergium) e Tab. Peut. segm. III, 4–5 (70 miglia da Opitergium ad Aquileia attraverso Concordia).

[177] 401 miglia: Itin. Anton. Aug. 128, 7–131, 4. 411 miglia: vedi n. 156.

[178] Itin. Anton. Aug. 128,7–129,2 + 259,11–261, 3, che deve essere corretto con Löhberg, Itinerarium (n. 66) 213.

[179] Itin. Anton. Aug. 243, 2–250, 5, che deve essere corretto con Löhberg, Itinerarium (n. 66) 206–207 e integrato con Amm. XXI, 9, 6 (19 miglia tra Sirmium e Bononia).

[180] Itin. Anton. Aug. 232, 4–236, 5.

[181] Amm. XXXI, 11, 6. Il punto d’imbarco fu Lauriacum (Amm. XXXI, 10, 20), dove c’era la prima delle classes danubiane ( Not. Dign. Occ. 34, 43).

[182] Barceló, Beziehungen (n. 95) 61 e id., Juthungeneinfall (n. 95) 4–9.

[183] Amm. XVII, 6, 1.

[184] Pan. Lat. X, 9, 1; XI, 5, 4. 7, 1. 16, 1; VIII, 3, 3 e 10, 4 Mynors. Barceló, Juthungeneinfall (n. 95) 3 misconosce curiosamente l’importanza dell’avvenimento.

[185] Not. Dign. Or. 41, 12–19. 21–28. 30–39 (Moesia I); Occ. 32, 22–59 (Pannonia II) e 33, 24–65 (Valeria).

[186] Amm. XVII, 13, 27.

[187] Not. Dign. Occ. 35, 14–34.