Federico Morelli


Il vino del padrone
P.Eirene III 21, P.Wash.Univ. II 105 e P.Laur. IV 185*



Il papiro della Biblioteca Medicea Laurenziana PL III/740 è stato edito, in occasione del congresso internazionale di papirologia di Ginevra del 2010, come P.Eirene III 21, con il titolo di “Wein für Beamte”, una provenienza ignota ed una datazione al V secolo. Una riproduzione del papiro si trova nel volume dei P.Eirene III a p. 138.

Si tratta di un conto frammentario, che nelle prime cinque linee conservate registra consegne di vino ad alcuni personaggi: secondo l’edizione 8dipla per un taboularios, 2 per un epikeimenos, 8 per un geometra, 38 per due preposti ai vendemmiatori, 4 per un meizoteros. Αlle ll. 6–7 seguono il totale delle spese, di 100 dipla, e l’indicazione di un resto di 515 dipla, classificato abbastanza misteriosamente come “für die Weinlese”. Poi, sembrano seguire altre spese: il testo comunque qui è molto malridotto, e dopo due linee frammentarie, il papiro è spezzato.

Una riconsiderazione di questo breve testo, per la quale ho potuto utilizzare una vecchia trascrizione che ne avevo fatto dall’originale nel 1992 [1], è opportuna.

Innanzi tutto, i beneficiari: secondo l’editore si tratterebbe di Beamte, la cui presenza — come osserva l’editore a p. 65 — non è “überraschend, denn in der Spätantike wurden viele öffentliche Verwaltungsaufgaben von Großgrundbesitzern übernommen”. L’interazione tra grandi proprietà e amministrazione statale nell’Egitto tardo antico è fuori discussione, ma per il nostro testo non è necessario pensare che i beneficiari delle consegne fossero qualcosa di diverso da dipendenti della stessa proprietà all’interno della quale il conto è stato prodotto.

Dopo la perdita di alcune linee, la prima registrazione conservata registrerebbe una consegna di 8 dipla di vino ad un taboularios: τ[ῷ] τ̣[αβου]λ̣[α]ρ̣(ίῳ), legge a l. 1 l’editore, esprimendo per altro qualche incertezza nella n. ad l. Le incertezze sono motivate: a ben vedere, infatti, quello che dovrebbe essere il τ iniziale di ταβουλαρίῳ è troppo a destra per essere davvero la prima lettera della parola. Ciò è confermato dal fatto che prima di esso si vedono i resti di altre due lettere. D’altra parte, tra il τ e il λ successivo lo spazio è troppo poco per contenere le quattro lettere che la lettura τ̣[αβου]λ̣[α]ρ̣(ίῳ) presupporrebbe. Per le due lettere all’inizio della parola: della prima si vede la parte inferiore destra di un tratto che scende obliquamente sotto il rigo: verosimilmente un χ. Della seconda, due anse che fanno pensare alla parte inferiore di un α sospeso sul rigo. Il papiro ha allora χ̣α̣ρ̣[του]λα̣ρ(ίῳ), dove per la lacuna si deve pensare ad un τ corto e di dimensioni ridotte come quelli di ll. 3 e 4. Tra i beneficiari di P.Eirene III 21 il taboularios era il solo che avrebbe difficilmente potuto essere ricondotto ad un ambiente privato. Un chartoularios invece non fa di questi problemi.

Come il chartoularios, anche l’epikeimenos, il geometres, e il meizoteros che ricevono le quantità di queste prime linee sono, o possono essere, al servizio di una proprietà terriera. La quantità di 4 dipla[2] di vino consegnata al meizoteros non è, contrariamente a quanto scrive l’editore nella n. a l. 5, un elemento per pensare che egli fosse il capo di un villaggio piuttosto che un dipendente di una proprietà privata. Qui come per le altre registrazioni mancano indicazioni relative al motivo della consegna — una razione? Un salario? Una gratifica? Una consegna per una festa? O qualcos’
altro ancora? — e ad un eventuale periodo di tempo coperto. Le diverse quote non sono insomma quantificabili su una unità di tempo, e sono difficilmente paragonabili tra loro. È ben possibile che esse fossero assegnate per motivi e periodi diversi.

La consegna di l. 4 è fatta, secondo l’edizione, a due ἐπιτρυγηταί: la n. ad l. spiega il termine come un addendum lexicis, con il significato di “Aufseher bei der Wein­lese”, da ricollegare al verbo ἐπιτρυγάω riportato da E. A. Sophocles, Greek Lexicon of the Roman and Byzantine Periods, Cambridge, Leipzig 1914, 516.

La cosa in realtà è complessa, e allo stato attuale difficile da decidere. Sophocles spiega il verbo come un equivalente di ἐπιφυλλίζω, a sua volta tradotto con “to glean grapes”. La sola attestazione riportata da Sophocles è in Origene, Fragmenta in lamentationes (in catenis), 44: ἐπιφυλλίϲαι δὲ τὸ μετὰ τρυγητὸν τὰ βραχέα τῶν καταλειφθέντων ἐπιτρυγᾶν, ὅπερ ποιοῦϲιν οἱ πένητεϲ. E Stephanus ThGL IV 1865 traduce con iterum vindemio. In realtà il verbo si trova ancora, con un significato più generico di “vendemmiare, raccogliere”, nel Nomos Georgikos, 18: ἐὰν ἀπορήϲαϲ γεωργὸϲ πρὸϲ τὸ ἐργάϲαϲθαι τὸν ἴδιον ἀμπελῶνα διαφύγῃ καὶ ξενιτεύϲῃ, οἱ τῷ δημοϲίῳ ἀπαιτούμενοι λόγῳ ἐπιτρυγήτωϲαν αὐτόν, μὴ ἔχοντοϲ ἄδειαν τοῦ ἐπανερχομένου γεωργοῦ ζημιοῦν αὐτοῖϲ τὸν οἶνον. Nella traduzione di W. Ashburner, The Farmer’s Law. ΙΙ., JHS 32 (1912) 89: “If a farmer who is too poor to work his own vineyard takes flight and goes abroad, let those from whom claims are made by the public treasury gather in the grapes, and the farmer if he returns shall not be entitled to mulct them in the wine.”

Secondo queste poche testimonianze insomma gli eventuali ἐπιτρυγηταί di P.Eirene III 21 sarebbero o persone che ripassavano a raccogliere i pochi grappoli rimasti dopo la vendemmia, o più semplicemente normali vendemmiatori: tutt’altro che funzioni direttive, tali da giustificare — secondo la spiegazione dell’editore — la elevatezza delle quote loro assegnate. Elevatezza per altro che, come già si è visto per il meizoteros, è difficile da valutare, poiché il papiro non dà indicazioni su moti­vazione e (eventuale) periodo coperto dalla consegna.

D’altra parte quello che si vede in P.Eirene III 21.4 trova diversi paralleli proprio nei papiri. In generale è poco chiaro se la preposizione sia da staccare dal sostantivo che la segue o meno: ἐπὶ τρυγητ( ). Che si tratti di due parole distinte, farebbe pensare SB XIV 12054.118 dell’archivio di Eronino, che registra una consegna di vino τοῖϲ ἐπὶ τοῖϲ τρυγη( ): da leggere secondo P. J. Sijpesteijn, Neue Heroneinospapyri. Mit Bemerkungen zum Archiv, CdÉ 55 (1980) 186 con la n. 2, τοῖϲ ἐπὶ τοῖϲ τρυγη(ταῖϲ). Questo pagamento pare davvero fatto a persone preposte ai vendemmiatori. Questo testo farebbe per P.Eirene III 21 pensare a τοῖϲ β ἐπὶ τρυγητ(αῖϲ), “ai due preposti ai vendemmiatori”.

Ma formulazioni analoghe a quella di P.Eirene III 21 sono anche in altri documenti: P.Wash.Univ. II 105.2 (Ossirinco VI o VII), dove ad una consegna di 13 sekomata ai paidaria — cfr. N. Gonis in P.Oxy. LXVIII 4700.3–5 n. —, ne segue un’altra di 10 sekomata ἐπὶ τρυγ( ), sciolto dagli editori in ἐπὶ τρυγη(τικά), e spiegato nella nota come “special disbursements for the wine harvest, see Schnebel, Land­wirtschaft, p. 279.” Ancora, P.Oxy. XVI 2051 (VI o VII) ha su diverse linee quantità di vino registrate per ϲμημα( ) καὶ ἐπιτρυγ( ), o sul verso per ϲταλαγμα( ) ἐπιτρυγ( ): anche queste registrazioni rimangono misteriose, cfr. Hickey, op. cit. pp. 133–134. Da menzionare infine è anche SB XII 10990.58.5–6 (Abu Mena VI), dove, se le integrazioni sono corrette, si legge [ἐπὶ] τρυ̣[γη-|ϲίαϲ.

Si sarà osservato che diversi dei documenti citati finora vengono da Ossirinco, e sono connessi in particolare con l’ambiente degli Apioni. Allo stesso risultato porta anche una ricerca di formulazioni come εἰϲ ῥύϲιν nel DDBDP: i paralleli più stretti sono nel P.Wash.Univ. II 105 (Ossirinco VI o VII), che si è già citato a proposito del misterioso — e rarissimo — ἐπιτρυγ( ), e in P.Laur. IV 185: ancora un papiro della biblioteca Laurenziana, per il quale l’editore dava una datazione al VII secolo, e la cui provenienza dall’Ossirinchite è stata già riconosciuta da A. Jördens, Fünf neue Symmachos-Papyri, ZPE 92 (1992) 221. Anche le scritture di questi documenti, di un tipo che conosciamo bene dalla contabilità degli Apioni, sono strettamente affini a quella del P.Eirene III 21: quest’ultimo sarà allora da datare alla seconda metà del VI o alla prima parte del VII secolo, piuttosto che al V indicato dall’editore. I tre docu­menti mostrano ancora la stessa abbreviazione per δι(πλοῦν) — a dire il vero assai frequente — con il terzo tratto del δ che scende profondamente sotto il rigo a formare lo ι: che anche alle ll. 14–15 di P.Laur. IV 185 si trattasse di διπλᾶ è già stato riconosciuto da Hickey, op. cit. p. 190.

Le affinità tra questi testi però sono più sostanziali: P.Wash.Univ. II 105 è formulato e fisicamente strutturato come un resoconto in forma di comunicazione epistolare. Per il contenuto però esso potrebbe benissimo essere un conto: lo scrivente comunica di aver inviato al destinatario una quantità di vino. Quindi scrive di aver raccolto da alcuni orci εἰϲ τὴν γεουχικ(ὴν) ῥύϲιν 110 sekomata, e procede poi — sommando e sottraendo spese ed entrate secondo dei criteri che a dire il vero non mi sono del tutto chiari ma che comunque mostrano il sekoma come un equivalente del diploun — a indicare una serie di resti, l’ultimo dei quali è di 98 sekomata.

Analogo è P.Laur. IV 185 r., anche se in questo caso si tratta di un conto: dopo una serie di consegne a diversi personaggi, le cui quantità conservate danno 84 sekomata, seguono due linee centrate rispetto alle altre. La l. 14 registra 952 dipla εἰϲ ῥύϲιν: questi devono essere la quantità che rimane dopo che da una quantità iniziale sono state tolte le spese elencate precedentemente. La l. 15 poi indica che 12 dipla sono stati consegnati ad un boethos, così che alla fine rimangono 940[3] dipla. Il verso del papiro, scritto capovolto rispetto al recto e diversamente da quel che è indicato nell’edizione completo in alto, potrebbe anche esser parte dello stesso conto del recto, e precederlo. In ogni caso esso elenca altre consegne di vino a diverse persone, anche queste in sekomata. È verosimile che almeno i due papiri laurenziani siano connessi tra loro, e che dunque anche P.Eirene III 21 venga dall’Ossirinchite.

Dopo averli messi in relazione tra loro, risulta più chiaro che cosa siano questi documenti: essi registrano le quantità di vino che diversi poderi, o sezioni o merides — come in P.Wash.Univ. II 105 — di grandi proprietà versano, dopo averne detratte delle spese locali, alle cantine del proprietario. In questo senso è da intendere l’εἰϲ ῥύϲιν, alla quale è destinato il resto che rimane dopo le consegne della prima parte di P.Eirene III 21. La ῥύϲιϲ qui si riferisce non in generale al vino prodotto da determinati terreni, ma alla parte del vino prodotto che viene consegnata al proprietario, e che effettivamente può poi figurare come ῥύϲιϲ nella sua contabilità. In maniera più chiara, in P.Wash.Univ. II 105 essa è detta γεουχικὴ ῥύϲιϲ. Si tratta di quantità di 98 sekomata in P.Wash.Univ. II 105; 940 dipla in P.Laur. IV 185; 517 o 547 dipla, non 515, in P.Eirene III 21: a l. 7 si legge ρι̣ζ, o forse ρμ̣ζ, con uno ζ uguale a quello del μειζοτέρῳ di l. 5.

La situazione che sottende ai nostri tre conti richiama allora quella molto più esplicitamente presentata in P.Oxy. XVI 1896 (577). Sette contadini di terre degli Apioni, guidati da un phrontistes, si impegnano a consegnare alle cantine padronali 3000 sekomata da 8 sextarii dalla vendemmia ormai prossima: dove potremmo vedere una distinzione tra γεουχικὴ ῥύϲιϲ per la parte che va alla proprietà, e il semplice ῥύϲιϲ della undicesima indizione per il vino prodotto più in generale. P.Oxy. XVI 1896.15–21: διδόναι τῇ ὑμῶν ὑπερφυείᾳ εἰϲ λόγον τῆϲ γεουχικῆϲ αὐτῆϲ ῥύϲεωϲ τῶν γεουχικῶν | ἀμπέλων τοῦ ἡμῶν κτήματοϲ ἐν τῇ τρύγῃ τοῦ Μεϲορὴ μηνὸϲ τῆϲ παρούϲηϲ | δεκάτηϲ ἰνδ(ικτίονοϲ) οἴνου ῥύϲεωϲ τῆϲ ϲὺν θεῷ ἑνδεκάτηϲ ἐπινεμήϲεωϲ | οἴνου γεουχικὰ ϲηκώματα ὀκτάξεϲτα τριϲχίλια (...) καὶ ταῦτα | [ὁμολογοῦμε]ν ἀποκαταϲτῆϲαι ἕωϲ τοῦ καταγαίου εἰϲ πλῆρεϲ ἀμ̣ειώτωϲ. “... to pay to your magnificence to the account of the flow of wine of your estate (ma “of the landlord”, invece di “of your estate”, corrisponderebbe meglio al testo Greco e all’idea espressa qui) from the wines of the estate on our holding during the vintage of the month of Mesore in the present tenth indiction, for the flow of wine of the (D. V.) eleventh indiction, three thousand jars of wine of the estate, each containing eight sextarii, and these we agree to deliver at your cellar in full with no deficiency.”

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Institut für Alte Geschichte und Altertumskunde,
Papyrologie und Epigraphik
Universität Wien
Universitätsring 1
1010 Wien, Österreich
federico.morelli@univie.ac.at

Federico Morelli

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* Questo lavoro è un prodotto del progetto P 23408 finanziato dal Wissenschaftsfonds (Austrian Science Fund, FWF) austriaco.

[1] Ringrazio Rosario Pintaudi per avermi a suo tempo permesso di fare questa trascrizione.

[2] Quella di 8 xestai indicata dall’editore nella n. a l. 1 come capacità del diploun, è solo una delle diverse possibili per questo tipo di contenitore: oltre al classico L. Casson, Wine Measures and Prices in Byzantine Egypt, TAPhA 70 (1939), 5–6, vedi P.Wash.Univ. II 105 introd. p. 198, e adesso T. M. Hickey, Wine, Wealth, an the State in Late Antique Egypt, Ann Arbor 2012, 190–191. Continuo comunque a pensare che i dipla di P.Oxy. XXVII 2480 siano sistematicamente da 6 xestai o sextarii, nonostante Hickey op. cit. p. 118: “it seems most likely that the dipla in 2480 contain 8 sextarii (...). Though it is true that several of the distributions to the Kromidiotai are explicitly in dipla of 6 sextarii (...), it does not follow that the entire account is reckoned in this diploun. The identification of the dipla in question as comprised of 6 sextarii occurs precisely because they were not the norm.” La argomentazione di Hickey sembra logica. Ma a dire il vero in questi casi (e.g. P.Oxy. XXVII 2480.50–54, o 57–60) il papiro non dà esplicitamente il contenuto di questi dipla, con formule del tipo “dipla da 6 sextarii” o “dipla x, ciascun diploun da 6 sextarii”: come ci si aspetterebbe se davvero qui lo scriba intendesse far presente che si tratta di dipla particolari diversi dagli altri. No, il papiro ha ad esempio a ll. 53–54: τοῖϲ λ Κρομιδιώτ(αιϲ) (...) λόγῳ ἀναλώμ(ατοϲ) ὑπὲρ ἡμερ(ῶν) β Φαμενὼθ θ καὶ ι ἰνδ(ικτίονοϲ) ιδ ὑ(πὲρ) ξε(ϲτῶν) ξ οἴν(ου) δι(πλᾶ) ι: il numero dei sextarii insomma è indicato non per precisare la capacità del diploun, ma perché evidentemente esso è il risultato del calcolo delle quantità necessarie a queste persone, basate su razioni di un sextarius a testa. Queste quantità in sextarii sono poi convertite in dipla per essere sommate con le altre del conto. Decisivo mi sembra infatti che alla fine del conto, alle ll. 121–125, si diano dei totali complessivi in dipla, senza procedere prima a conversioni di nessun genere: evidentemente questi totali risultano dalla somma di tutte le quantità registrate in dipla nelle singole registrazioni e considerate indistamente: i dipla di P.Oxy. XXVII 2480 allora devono essere tutti dello stesso tipo.

[3] Per la lettura delle cifre di ll. 14 e 15, A. Soldati, Τὸ καλούμενον παρακύϊϲμα. Le forme del sampi nei papiri, APF 52 (2006) 215 s. n. 24.