Federico Morelli


SB XXIV 16219
Una lettera di Atias in difesa di una donna*



P.Vindob. G 15148 è stato edito da Klaas Worp in Ein neuer Atias-Papyrus, Tyche 13 (1998) 253–254. Worp, che per la sua edizione aveva a disposizione soltanto una fotografia, prendeva in considerazione il lato scritto lungo le fibre, che egli con­siderava il recto del papiro: la linea conservata su di esso sarebbe stata l’intestazione del documento, che poi doveva seguire sulla parte inferiore del foglio, perduta. A proposito dell’altro lato, scritto contro le fibre, egli notava a p. 254, a conclusione della sua edizione: “Auf dem Verso des Papyrus finden sich drei Zeilen in griechischer Tachygraphie, dann eine 4. Zeile, deren erste Hälfte (in schwarzer Tinte) wieder Tachygraphie aufweist, wo sich dann aber die von einer anderen Hand in grauer Tinte geschriebenen Wörter τὸν̣ γραμματηφόρον̣, „den Briefträger“, lesen lassen. Ob ein Bezug zum Text auf der Recto-Seite besteht, bleibt unklar.” Seguono poi alcune note sul termine γραμματηφόροϲ.

Il papiro infine è stato ripreso in Sammelbuch come SB XXIV 16219. Una immagine digitale si trova adesso all’indirizzo http://aleph.onb.ac.at/F/?func=find-c&ccl_term=WID%3DRZ00005875&local_base=ONB08.

Ora, la tavola pubblicata con l’edizione mostra che quella trascritta da Worp non è la linea iniziale di un testo sul recto, ma un indirizzo sul verso di una lettera ammini­strativa. Infatti:

a ) Il testo è scritto lungo le fibre sul retro di un foglio utilizzato transversa charta, come d’uso per le lettere amministrative — e non solo — del periodo bizantino e arabo.

b ) Al centro dell’indirizzo, tra l’indicazione del mittente e quella del destinatario, c’è un vacat di 3 cm buoni: qui doveva trovarsi, secondo la consuetudine, il sigillo in argilla che fermava le fibre con le quali era tenuta chiusa la lettera ripiegata.

c ) La scrittura infine è la minuscola che nel VII secolo assume la funzione di cancelleresca, ed è caratteristica per gli indirizzi. È vero che la stessa scrittura è usata anche — oltre che per la contabilità — per comunicazioni rivolte ad una collettività, o anche intese come lettere circolari. Ma SB XXIV 16219, anche se diretto a più meizoteroi, resta comunque una comunicazione tra funzionari. La scrittura da usare per queste comunicazioni interne non è la minuscola, ma la corsiva. E in corsiva è di fatti quel poco che si legge sull’altro lato del papiro: non il verso, ma il recto scritto — come di regola — contro le fibre.

Do qui una nuova trascrizione del papiro, indicando come linee 1a, 2a, 3a e 4a le linee in tachigrafia aggiunte successivamente in inchiostro nero: nel margine superiore le prime tre, tra le prime due linee della lettera la quarta.

Quel poco che rimane del recto è sufficiente per dire che in questa lettera Atias interveniva in difesa di una donna — τὴν γραμματηφόρον, forse corretto su τὸν γραμματηφόρον —, che doveva essere stata trattata ingiustamente dai responsabili del villaggio. Ella aveva presentato le sue lamentele al duca, e ne aveva ricevuto la lettera che ci è pervenuta con le istruzioni, o meglio la diffida, per i meizoteroi. La stessa donna avrebbe poi dovuto recapitarla ai destinatari per essere da questi lasciata in pace.

Si tratta insomma del solito procedimento noto da tutta una serie di documenti, il cui significato e contesto ho discusso nel mio articolo sui grammatephoroi[1]. Secondo il sistema che avevo ricostruito per gli altri documenti, anche la donna di SB XXIV 16219 fa da ‘portalettere’ soltanto in quest’occasione, poiché si tratta di una faccenda che la riguarda in prima persona.

È interessante se mai rilevare che questa donna, per protestare contro l’operato o le pretese dei responsabili del villaggio — verosimilmente quello in cui ella abitava, o almeno un villaggio vicino —, si lamenta direttamente dal duca: probabilmente Atias, per il suo passato di pagarco dell’Arsinoite, continuava ancora nella nuova, più elevata funzione, ad essere percepito come un interlocutore più accessibile. È ben possibile poi che la lamentela della donna fosse stata presentata ad Atias tramite un qualche personaggio influente, come un proprietario terriero — se non era la donna stessa ad essere una grande proprietaria —, con il quale Atias doveva aver stretto rapporti nel periodo in cui era stato alla guida della pagarchia [2].

L’oggetto della lamentela poteva essere una delle solite riscossioni illegittime, o considerate tali dal contribuente. In contesti del genere il verbo διαϲτρέφω è già in altri documenti coevi: in particolare significative sono lettere nelle quali si ordina o si chiede di dare istruzioni a funzionari di villaggio di non διαϲτρέφειν determinate persone, come CPR XXX 26.5 o SB XXVIII 17005.10 (entrambi Ermopolite
c. 643/644). In questi testi si tratta di requisizioni, rispettivamente di manodopera e di lana per i gonachia. È vero comunque che il verbo è in sé poco determinato e potrebbe riferirsi anche ad altri tipi di prepotenze: cfr. CPR XXX 26.5 n.

Uguale quale fosse il motivo della lamentela, la reazione di Atias è perentoria: egli inizia, o meglio fa iniziare a Dauid, la sua lettera con lo stesso μὴ δόξῃ che apre SPP X 128, anche questa una diffida del VII secolo inviata da un Kosmas ad un funzionario di un villaggio dell’Arsinoite, contro la requisizione di lavoratori da inviare a Babylon. Allo stesso modo si aprirebbe, se ho integrato bene, l’analogo documento CPR XXX 28 (Ermopolite c. 643/644). E comunque la formula si trova in contesti dello stesso genere in una serie di documenti, tra i quali per il periodo arabo si possono citare alcune lettere di Qurra b. Sharîk: P.Lond. IV 1351.11, 1386.9, etc.

Verosimilmente dopo aver adempiuto la sua funzione, la lettera è stata riutilizzata per della tachigrafia: verrebbe da pensare da qualche impiegato dell’ufficio dei meizoteroi, che probabilmente ha fatto le sue annotazioni — crederei un esercizio — scrivendo nel margine superiore e nell’interlineo: un interlineo notevolissimo per la sua ampiezza, se davvero quella che ho trascritto come seconda linea della lettera non era in realtà la terza, preceduta da una linea 2 della quale adesso non si riesce a vedere più nulla.

Infine la provenienza: le lettera è indirizzata ai meizoteroi del chorion di Perkethaut. Sulla lettura χω̣(ρίου) o anche χ(ωρίου) Worp aveva grosse perplessità, tanto che egli preferiva leggere un λ´, la cui soluzione rimaneva poi in sospeso. Va detto comunque che anche un λ di questo genere in una minuscola come quella del nostro indirizzo non è paleograficamente la soluzione ideale. In realtà, con l’aiuto di microscopio e luce UV sono ben visibili, al di sotto del tratto obliquo trascritto da Worp come segno di abbreviazione, resti di un altro tratto ad esso parallelo e che ben si adatta alla parte superiore destra di un χ. La lettura del termine χωρίον, che poi è la soluzione più logica, mi sembra insomma difficile da mettere in discussione. Sia quel che sia, Perkethaut è una località nota dell’Arsinoite, e all’Arsinoite si riferiscono tutti i documenti greci di Atias della collezione Viennese che diano elementi per sufficienti per decidere, anche quelli nei quali egli figura come duca. Di altra provenienza, c’è solo il SB III 7240 che viene da Tebe, ma non si tratta di un documento viennese, bensì del Metropolitan Museum of Art di New York. Diversa la situazione dei pochi papiri copti, viennesi o no, che si riferiscono invece a Ermupoli o Akoris, cfr. F. Morelli, Egitto arabo, papiri e papirologia greci, nn. 15 e 45, in stampa in JJP 43/ What’s in in Papyrology AD 2013.

D’altra parte il numero di inventario P.Vindob. G 15148 e l’indicazione nell’inventario manoscritto di Wessely rimandano, come osservava Worp, all’
Ermopolite: che dire? Della questione dei numeri di inventario e delle provenienze dei papiri viennesi ho discusso già in CPR XXII p. 14, CPR XXX pp. 3–5, e soprattutto in SB XXIV 16222: due patrizi e un Liciniano, Tyche 23 (2008) 142–145. Nel caso di SB XXIV 16219 concluderei senz’altro che il papiro è un esempio ulteriore di quanto poco sia affidabile il criterio del numero di inventario per la determinazione della provenienza dei testi della collezione viennese. Almeno nei casi in cui queste indicazioni contrastino con informazioni ricavabili direttamente dai testi, come è per SB XXIV 16219. Ma più in generale, direi, quando esse non siano confermate da dati più affidabili.

- - - - - - - - - - - -- - - - - -- - - - - -- - - - - -- - - - - -- - - - - -

 

Institut für Alte Geschichte und Altertumskunde,
Papyrologie und Epigraphik
Universität Wien
Universitätsring 1
1010 Wien, Österreich
federico.morelli@univie.ac.at

Federico Morelli

- - - - - - - - - - - -- - - - - -- - - - - -- - - - - -- - - - - -- - - - - -

 

 



* Questo lavoro è un prodotto del progetto P 23408 finanziato dal Wissenschaftsfonds (Austrian Science Fund, FWF) austriaco.

[1] F. Morelli, Grammatêphoroi e vie della giustizia nell’Egitto tardo antico, in:E. Cantarella Hrsg.), Symposion 2005. Vorträge zur griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte (Salerno 15.–17. September 2005), Wien 2007, 351–371.

[2] Qualche perplessità mi rimane sul ruolo di Atias: certamente, a partire da un certo punto egli è duca di Arcadia e Tebaide, e svolge le funzioni connesse con questa carica. In proposito è interessante anche richiamare l’attenzione su CPR VIII 82, nel quale Atias conclude un contratto per una prestazione lavorativa con una persona impiegata nella οὐϲία dell’emiro dei credenti: una funzione che richiama quella dicurator domus divinae usuale per i duchi del VI secolo — vedi ad esempio il caso del duca Athanasios da me discusso in F. Morelli, Zwischen Literatur und Geschichte: Die „flagornerie“ des Dioskoros und der dreifache Dux Athanasios, in: J.-L. Fournet (éd.), Les archives de Dioscore d’Aphrodité cent ans après leur découverte. Histoire et culture dans l’Égypte byzantine. Actes du colloque de Strasbourg (8–10 décembre 2005) , Paris 2008, 223–245 —, e che tra l’altro fa pensare che le proprietà dell’emiro dei credenti altro non fossero che i vecchi possedimenti della domus divina. Ma è anche un fatto che Atias, che conosciamo nella sua funzione di pagarco dell’Arsinoite soltanto da P.Ross.Georg. III 23, senza data, e CPR VIII 73 del 694, continua anche dopo la sua promozione a duca ad occuparsi di cose delle quali avrebbe potuto occuparsi anche un pagarco: penso in particolare all’emissione di entagia per l’imposizione delle tasse ordinarie come CPR VIII 79 e 80. Ma lo stesso vale per gli altri ordini e entagia, CPR VIII 74–78 e 81. È vero d’altra parte che egli emette entagia anche per altre pagarchie: i copti CPR IV 3 e 4 sono per l’Ermopolite.